Tutti noi abbiamo qualcosa da dire. Spesso facciamo fatica a dirlo con le parole, oppure con i fatti. Figuriamoci quanto sia difficile trasmettere quei pensieri e quelle sensazioni attraverso la musica. Non tutti ci riescono e chi invece ce la fa, possiede un dono.
Tra i tanti pregi dei Be The Wolf c’è proprio questo dono.
Li abbiamo lasciati con “Imago“, un diario di bordo della vita artistica del trio piemontese che si stava via via sviluppando, che stava appunto attraversando quella metamorfosi dall’essere band per pochi a band per le masse.
La cosa bella è che di fatto non hanno stravolto nulla, non hanno cambiato percorso, non sono diventati più commerciali: hanno semplicemente amplificato la loro essenza, maturando e smussando gli angoli dei primordi.
Ed ecco che arriva “Rouge“, un album tutto sommato semplice nella sua composizione, ma di grande efficacia perchè “vero”. L’impressione è che si siano seduti con strumenti alla mano sulla finestra della vita, osservando il mondo che girava, raccogliendo le contaminazioni esterne per tradurle poi in musica. Non è solo uno sguardo introspettivo o uno specchio che riflette se stessi; “Rouge” è una sorta di macchina fotografica sull’esterno che conserva però sempre il suo punto di vista, mentre gli altri cambiano.
Senza nascondersi, “Rouge” è una delle uscite più attese di quest’anno perchè già dal primo album i Be The Wolf avevano dimostrato di avere qualcosa in più e di essere quasi un’anomalia in questo contesto italiano fatto spesso di esagerazioni. Qui c’è essenzialità e schiettezza, ovvero tutto ciò che da sempre contraddistingue il trio di Torino.
“Rouge” quindi diventa già una consacrazione, supportata dal grande successo ottenuto in Oriente. Non a caso infatti nella tracklist troviamo “Shibuya”, dedicata al famoso quartiere di Tokyo, quello dove c’è la statua del cane Hachiko, tanto per intenderci. Una dose di internazionalità che è evidente già dalla scelta del titolo in francese: ricordiamo infatti che i Be The Wolf, un anno fa, avrebbero dovuto suonare in quel di Parigi, ma il giorno prima della partenza ci furono gli attentati nella Capitale, tra cui quello del Bataclàn. Probabile che quell’episodio abbia in qualche modo condizionato anche l’approccio dei Be The Wolf. Supposizioni.
Resta il fatto che quell’esterofilia continua ad essere una peculiarità della band, quell’approccio un po’ british che talvolta diventa snob. Come le discussioni inutili sottolineate in “Blah Blah Blah”, altro specchio della nostra quotidianità.
Ma i Be The Wolf sanno anche come divertirsi: “The Game” ha dei toni quasi circensi, mentre “Rise Up Together” resta la traccia a mio avviso più adorabile: potrebbe apparire scontata, ma qui il mood classico viene messo per un attimo da parte, con la voce di Federcio Mondelli che diventa più calda ed avvolgente. La chiave vincente è ovviamente il ritornello, accompagnato dal giro di batteria di Canetti.
Il trio è più coeso che mai e, volendo essere lungimiranti, sarà difficile per i Be The Wolf superarsi con un altro prodotto di qui a breve.
Per il momento ci godiamo questo “Rouge”. Immancabile nella personale collezione.