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Bleed Someone Dry: “La presenza di guest non deve offuscare il lavoro di una band”

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Bleed someone dry band

Per Metal In Italy è stato un piacere scoprire i Bleed Someone Dry, metallers di Pistoia in attivo dal 2007, ma che ad oggi si presenta con nomi nuovi, rispetto agli inizi, ed un sound che sfata tutti i (falsi) miti del Deathcore.
A settembre è uscito “Postmortem | Veritas” (la recensione), un concept che abbiamo definito un continuo assalto sonoro, ma che non disdegna la parte melodica. Cosa che ha permesso loro di essere particolarmente apprezzati in sede live.
Il sogno dei toscani è quello di poter raggiungere le mete nordiche e far conoscere i propri progetti ad un pubblico più vasto.
Conosciamoli meglio in questa intervista.

Ciao ragazzi, è un grande piacere ospitarvi sulle pagine di Metal In Italy. È nostra consuetudine iniziare l’intervista con una presentazione della band: quali sono le tappe fondamentali della vostra carriera?
Ciao Stefano! Innanzitutto grazie mille per l’occasione e lo spazio dedicatoci. Cosa possiamo dirti su di noi?! Siamo quattro ragazzi con una passione infinita per la musica “pesante”, con molti punti in comune e altri in contrasto (non solo sotto l’aspetto musicale, ma anche caratteriale), ma in questi 3/4 anni abbiamo imparato a conoscerci, collaborare e diventare amici, suonare e scrivere musica è stato il risultato di una crescita collettiva… Un amalgama imprescindibile da ciascuno di noi che componiamo i “Bleed”.

Entriamo subito nel vivo: “Postmortem | Veritas” è un album fantastico, nell’ascoltarlo mi è venuto spontaneo pensare “possibile che questi ragazzi ancora non siano in giro per il mondo?”. Rispetto al precedente “Subjects” ho notato un enorme passo in avanti, pensate che sia l’album della “consacrazione” per voi?
Eh(!?!)… Grazie ancora per le splendide parole! Girare il mondo portando a spasso la propria musica è il sogno di qualunque ragazzo che come noi vive delle emozioni e del piacere di questa arte! Poi si deve fare i conti con la realtà e tale privilegio è, purtroppo, riservato a pochi… Noi ci auguriamo che “Postmortem|Veritas” possa essere anche “veicolo” per poter girare qualche nazione! Sarebbe fantastico! Per quanto riguarda il gap rispetto a “Subjects” ci sono una moltitudine di fattori che spiegano questa questione… Basti pensare che quell’album era stato scritto nel 2008 e difatti è uscito ben quattro anni dopo, con un quarto di formazione completamente rinnovata… Possiamo affermare che quelle canzoni sono attribuibili a Jonny e gli altri quattro “vecchi” Bleed Someone Dry, detto ciò ci sembravano decisamente valide anche se non propriamente nostre e ci sarebbe dispiaciuto se non avessero mai “avuto vita”!

Rimanendo in tema di confronti rispetto al passato, il tasso tecnico mi sembra notevolmente incrementato, la produzione è praticamente su un altro pianeta…come avete raggiunto questi traguardi?
Appunto come ti dicevo, dal momento in cui tre anni fa la formazione ha trovato stabilità, abbiamo trovato una “simbiosi”, un’unione di intenti… Le influenze di ognuno hanno collaborato l’un altro e sono venute fuori peculiarità stilistiche e musicali che hanno portato alla nascita del nuovo progetto. Inoltre la possibilità di sfruttare le competenze e le conoscenze professionali di Jonny che possiede uno studio di registrazione (The Grid Studio Europe) ci ha portato numerosi vantaggi. La possibilità di lavorare e produrre l’album fianco a fianco di Christian Donaldson infine è stato un sogno e una possibilità che sotto tutti i punti di vista ha fatto fare un bel salto qualitativo a “PostMortem|Veritas”.

Dal punto di vista stilistico ho notato un incremento della componente progressiva ed atmosferica, mentre avete in parte ridimensionato la componente –core. A cosa sono dovuti questi cambiamenti?
Abbiamo cercato di far suonare i pezzi molto meno distorti, molto meno irrequieti e ansiosi rispetto a quelli contenuti in “Subjects”. Avevo in mente di raccontare molti aspetti, trattare svariate tematiche nei testi del concept e per un certo periodo abbiamo studiato insieme agli altri ragazzi un modo per riprodurre tali emozioni nei riff e nelle strutture… Ci sono pezzi che devono essere più angoscianti, altri più arrabbiati e alcuni più distorti… Nel risultato d’insieme personalmente mi trovo abbastanza soddisfatto del prodotto!

Il disco è uscito da poco, ma immagino che voi abbiate avuto modo di suonare qualche pezzo nuovo dal vivo, che tipo di riscontro avete avuto dal pubblico?
Abbiamo suonato i nuovi pezzi in alcune occasioni in questi ultimi mesi… E sinceramente il feedback ricevuto ci sta soddisfacendo! L’introduzione di melodie, è la sorta di “semplificazione” che abbiamo apportato rispetto ai pezzi del precedente disco hanno permesso un ascolto più semplice anche a un orecchio meno rivolto a distorsioni e dissonanze spesso estremizzate che caratterizzavano il vecchio lavoro.

Nell’album ci sono due collaborazioni eccellenti: CJ dei Thy Art Is Murder e Luca T.Mai degli Zu. Perché avete scelto proprio loro? Che tipo di legame c’è tra queste due band, peraltro diverse tra loro, e i Bleed Someone Dry?
Volevamo imprimere un segno di distinzione rispetto alle molte altre band (valide e preparatissime) che fanno parte della scena “metal/death/core”, volevamo che il nostro progetto si distinguesse da molti altri e avesse dei caratteri di originalità! Ci immaginavamo l’ultima canzone dell’album come un’apoteosi di follia, doveva essere il massimo punto di confusione sonora dell’album e l’idea di chiamare Luca (sax degli ZU/Mombu Mombu) è venuta spontanea, Jonny lo aveva già conosciuto anni prima per motivi professionali e già ai tempi si era reso disponibile a una collaborazione futura… Per quanto riguarda CJ è stato un vero colpo di fortuna, avevamo presentato a Chris al momento della registrazione la nostra volontà di rinforzare la parte vocale di “Our Martyrdom” e lui ci propose di inserire un guest con una linea vocale molto possente, che rendesse la parte finale della canzone una manifestazione estrema di rabbia… A qualche giorno dal suo ritorno in Canada ci scrisse dicendoci che aveva trovato un suo amico che era disposto a collaborare e che ne saremmo stati entusiasti… Difatti non si sbagliava… Alcuni ci hanno criticato per i ruoli marginali che abbiamo lasciato a due ospiti così importanti, però non volevamo che il nostro prodotto venisse riconosciuto come favoreggiato dalla loro presenza… Insomma volevamo che tali collaborazioni risultassero essere una completezza d’insieme non un extra.

Tutte le tracce seguono una precisa linea stilistica, mentre “Let Me In” segna un vero e proprio punto di discontinuità: una traccia melodica, riflessiva, com’è nato questo brano?
“Let me in” è posta a metà dell’album… Il concept dell’album richiedeva una traccia più riflessiva che prendesse totalmente le distanze dall’oscurità, la negatività e il pessimismo che circondano “l’ambiente” degli altri pezzi… Aelia (la protagonista del concept) in tale song è come se venisse rapita da uno stato di coma momentaneo, tale traccia mira a “fotografare” il preciso istante in cui ancora la purezza e la semplicità della piccola sono incolumi, frastornate e confuse ma ancora intatte… I pochi secondi caratterizzati alla quiete prima di essere posseduta nella successiva song “Devil in me”.

In generale come nascono le vostre canzoni? Si tratta di un processo compositivo che nasce dal singolo o preferite sviluppare i brani insieme?
Per motivi di tempo e possibilità solitamente colui che “porta” un’idea è Jonny, lavorando nel settore e conoscendo ormai da un po’ di tempo i nostri gusti e influenze i suoi “input” sono spesso molto validi. In seguito ci mettiamo a tavolino e cerchiamo di modificare, cambiare o togliere ciò che non ci convince… E’ un metodo di lavoro che abbiamo adottato per la realizzazione dell’ultimo e album e con il quale abbiamo iniziato a lavorare sui nuovi spunti… Per la parte testi invece, cerco sempre di trasmettere ciò che provo/sento attraverso modi meno scontati e creando una storyboard d’insieme…

Voi siete attivi dal 2007, che tipo di cambiamenti avete riscontrato nella scena Metal italiana? Pensate che vi sia uno spazio maggiore per le band emergenti? I metallari italiani prestano più attenzione alle band nostrane o siamo ancora troppo esterofili?
Effettivamente la band è attiva dal 2007 ma nessuno degli attuali componenti dei Bleed Someone Dry ne faceva parte ai tempi… Jonny entrò a far parte della band a fine 2007, poi Alfeo e infine io e Mattia che siamo arrivati in periodi relativamente recenti… Ciò che dal mio piccolo posso affermare è che il modo di fare musica e suonare live delle band straniere molto spesso risulta effettivamente di un calibro maggiore… Ma credo che ciò sia riconducibile ad una spettacolarizzazione e un modo di vivere e fare musica che in alcune nazioni del mondo vivi quotidianamente (esempio negli States). Nonostante ciò il nostro Paese ultimamente ha sfornato band di tutto rispetto, dai Fleshgod Apocalypse ai Destrage, dai Despite Exile agli Hour Of Penance… Insomma non possiamo lamentarci.

Immancabile la domanda sui progetti futuri: come verrà supportato l’album nei prossimi mesi?
Speriamo vivamente che questo nuovo lavoro ci dia la possibilità di proporlo a spasso per il mondo il più possibile! Stiamo chiudendo alcune serate per i prossimi mesi in giro per l’Italia, e per il prossimo anno stiamo valutando la possibilità di poterci proporre anche per il nord Europa e magari di tornare in Russia…

Bene ragazzi, vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso e lascio a voi il compito di terminare l’intervista lasciando un messaggio ai nostri lettori. A presto!
Grazie ancora Stefano per lo spazio dedicatoci! A voi lettori di Metal In Italy spero che questa intervista possa averi incuriosito e “stuzzicato” a conoscere e ascoltare la nostra ultima fatica “Postmortem|Veritas”. Un racconto moderno, cupo, negativo e pessimista che si pone molte domande e che (forse) alla fine trova una risposta… Ascoltatelo!

Alessio BsD