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Deshody: “89th” – Recensione

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Aspettavo con ansia il ritorno dei laziali Deshody, li attendevo alla prova del fuoco e non mi hanno deluso. Devo ammetterlo, le mie aspettative erano alte ma non altissime: due anni fa usciva “Collapsing Colors” e rimasi entusiasta dal talento e dalle enormi potenzialità del gruppo; ma nel giro di due anni tante cose sono cambiate in seno alla band e credevo che tanti sussulti potessero minare la qualità del nuovo lavoro. Felice di essere stato smentito in maniera categorica, perché i sussulti sono diventati musica e il risultato è a dir poco esplosivo! I cambi di line-up hanno portato nuovi membri e nuove influenze e il basilare thrash-core degli esordi è diventato un possente Djent con influenze progressive, industrial e addirittura dubstep.

Registrato, mixato e prodotto da Antonio Aronne nel suo “The Form Studio”, “89th” è un concept complesso ed affascinante, ricco di fantasia e surrealismo. E’ un viaggio alla ricerca di verità e salvezza globale attraverso un percorso interiore. Una storia di fantascienza che è la metafora di una realtà che per tutti noi può essere quotidiana: scelte, sacrifici, redenzione e riscatto. I testi quindi hanno un ruolo fondamentale nell’accompagnare l’ascolto di queste undici canzoni.

Le composizioni sono potenti e ispirate, estremamente umorali, seguono le vicende narrate nel concept con estrema fedeltà. Ritmi nervosi, cambi di tempo improvvisi (ma mai scontati, come in “The Awakening”) riff di chitarra che sembrano pugni nello stomaco e parti elettroniche che ti penetrano il cervello, come in “The Blackest Night”, “Behind The Wall” o nei pezzi interamente appannaggio del dj come “Eternal Mark” (strumentale) o “Enlightement”. La sessione ritmica si dimena egregiamente, nonostante i ritmi “quadrati” non è affatto priva di fantasia, “Uncovering” ne è la dimostrazione; tra l’altro proprio in questo pezzo c’è Ryan Kirby dei Fit for a King come special guest alla voce. E a proposito di voce mi preme sottolineare la grande prova di Domenico dietro il microfono: un cantante cresciuto in maniera esponenziale rispetto al primo album, capace di districarsi con coraggio tra un growl possente e parti melodiche estremamente efficaci, ascoltate la conclusiva “89th”, interpretata con un crescendo magistrale!

Il grande pregio di quest’album è che se lo ascolti a tutto volume ti scuote le fondamenta di casa come un terremoto ma se poi lo ascolti bene ti fa riflettere, pensare e ti scuote nelle viscere. Metallo pesante e peNsante. “89th” è un disco maturo e ben fatto, prodotto egregiamente e fuori da qualsiasi cliché: è un album che ingloba tantissime influenze ma che nulla toglie alla potenza e alla linearità del trademark Deshody.
Un album da avere, imperativo!