Dall’estremismo sonoro degli esordi alla sperimentazione estrema delle successive uscite discografiche, Inchiuvatu è sin dagli anni ’90 sinonimo di rottura con gli schemi tradizionali, grazie alla mente creativa di Agghiastru, musicista proveniente da Sciacca (Agrigento). Con lui ho discusso della pentalogia di EP, conclusasi con l’ultimo “Via Lucis”, ma sono emersi tanti spunti di riflessione sulla situazione musicale in Italia, citando il Prog anni ’70 e la mancanza di una vera e propria identità nel nostro Paese.
Con “Via Lucis” si conclude la Pentalogia di Inchiuvatu, iniziata quasi nove anni fa con “33”, pubblicato a Novembre 2008. In questo lasso di tempo la proposta musicale è andata via via modificandosi, fino ad assumere la formula attuale. Come definiresti l’ultimo lavoro?
Questa pentalogia di EP è stata il modo in cui ho potuto sperimentare il suono di Inchiuvatu. Scavare a fondo e cercare di capire se ci fosse ancora qualcosa da comunicare nel genere metal estremo. L’ultimo lavoro ufficiale “Miseria” risale al 2008 e, in quegli anni, abbiamo avuto la definitiva conferma che un certo tipo di musica, supporto e pubblico, stavano per modificarsi profondamente. Il progetto Inchiuvatu poteva anche chiudersi lì. Poi buttai su un foglio di carta le caratteristiche del sound Inchiuvatu e mi sono accorto che le sfumature potevano essere ancora tante e ancora da indagare. Per esempio: decisi di fare “33” basandomi sul modo di comporre ai tempi pre-Addisìu. Accordi semplici, drum-machine e melodie maliziose. Nel successivo “Ecce Homo” portammo i tamburi in aperta campagna e, sotto un ulivo, registrammo un lavoro selvaggio, tribale e decadente. Questo era un altro aspetto musicale del progetto che andava emergendo: l’ambiente tribale. Poi venne la volta di “INRI” e qui evidenziai la sperimentazione per i suoni naturali e la deriva Rock. Negli ultimi due atti invece diedi libero sfogo alla follia spiazzante che da sempre contraddistingue questa mia creatura. “Via Matris” doveva suonare Black Metal, ma interamente suonato con strumenti acustici. In assenza di elettricità, pur mantenendo il marchio di fabbrica Inchiuvatu e così è stato. Ed ecco “Via Lucis”. Che altro sperimentare? Abbiamo pensato, scherzando, che ci mancava di provare a fare del black metal a cappella e, subito dopo, ci siamo ritrovati a registrare in studio. “Via Lucis” è il mio modo di dire che la musica non muore mai. La si può estremizzare oltre ogni limite e, se caricata di buona creatività, può dare anche buoni frutti ed essere veicolata a nuove generazioni di ascoltatori curiosi.
“Via Lucis” è un album a tinte oscure, ma presenta anche arrangiamenti quasi Southern, Blues, la componente elettrica si fonde con quella acustica. Come siete giunti a questa formula sperimentale?
Il mio errore è stato di rincorre, per Inchiuvatu, un sound tipico del tempo. Mentre registravo Addisìu avevo in mente le chitarre degli Immortal, oppure la batteria dei Deicide, o il timbro del mix dei Morbid Angel. Se dal lato compositivo mi ero affrancato dalle band del tempo, dal punto di vista sonoro non feci alcuna ricerca. Mi sono limitato a seguire il gregge e le mode. Come ti dicevo questi Ep sono stati l’occasione, libera da costrizioni discografiche, distribuzione o compiacimento dei puristi del genere, per mettere a fuoco quale doveva essere il suono riconoscibile di Inchiuvatu. Già in “Ecce Homo” cominciai a intuire che di fondo dovesse esserci un suono di ambiente, tribale e sciamanico. Ho cominciato a sentire il crepitio del fuoco in maniera più evidente, poi le chitarre acustiche, i tamburi e un suono più naturale possibile. In Sicilia l’ambientazione in cui opero oscilla tra un giardino rigoglioso e un deserto, perennemente in conflitto. L’uno vuole sopraffare l’altro e, in questa eterna violenza, ho pensato di sovrapporre chitarre elettriche a chitarre acustiche. L’andamento “Blues” è dovuto probabilmente al senso di rassegnazione dell’Isola. Ma, ovviamente, ti chiederai che per arrivare a queste sonorità, devi per forza ascoltare altro, al di fuori del metal. Ed effettivamente io ascolto di tutto e, citandoti Woven Hand, Black Hert Procession, Calla o Godspeed You! Black Emperor, capisci da dove possano arrivare certe influenze southern.
Dal buio degli esordi si è giunti con l’ultimo capitolo alla luce, cosa rappresenta questa sorta di cammino? Può essere visto come una sorta di espiazione o di purificazione?
Tralascio il valore cristiano della “Via Lucis” al quale mi sono semplicemente affiancato per raccontare qualcosa di più intimo e personale. Se potevo archiviare il progetto con “Miseria” già nel 2008, la ritrovata voglia di esplorare non può che avermi condotto alla liberazione, e quindi alla luce. Sarà che comincio ad essere un uomo e non più un ragazzo, ma sento che ogni mia scelta è più matura, ponderata e sentita. Non mi sono mai sentito un vero musicista, ma più uno speculatore. Ora credo di aver fatto pace con la musica e comincio a suonare qualcosa che mi rappresenti pienamente. Da oggi in avanti, sarà una continua sorpresa anche per me. Dunque sì, possiamo anche intenderlo come un atto purificatorio e di espiazione. Il vecchio Inchiuvatu è morto ed è risorto in una nuova consapevolezza di sé.
Da dove nasce l’idea di articolare il percorso attraverso 14 stazioni, con un richiamo quindi a quelle della Via Crucis?
Il nome Inchiuvatu non è stato scelto per via del crocifisso, bensì per raccontare l’incapacità dell’uomo di trovare una risposta al senso della vita. È chiaro che la vicinanza con la vita di Cristo diventa evidente, specie nell’ osservazione e indagine che il Risorto fa e svela all’umanità. La pentalogia si rifà nei titoli all’ultima fase di Gesù, ma al centro di tutto c’è l’essere, l’uomo, e il suo dramma non risolto se non per via della luce. Ma ho solo preso a prestito la struttura della pratica religiosa, in realtà ho trovato molto più interessante raccontare di me stesso. Le tappe di Cristo sono state concepite perfettamente per raccontare l’uomo. A trentatré anni accade che diventi un uomo, vuoi sapere e condividere il sapere, ma ben presto tarperanno le tue ali, poiché il sistema non vuole destabilizzazioni. O ti omologhi, o verrai crocifisso. Accade un po’ a tutti, ed per questo che il cristianesimo funziona da qualche tempo. Hanno brandizzato la vita comune. Il paganesimo era troppo aleatorio per il controllo delle masse. Comunque sia, comincio a considerare tutti i miei progetti un’estensione biografica della mia esistenza… tutto il resto non è importante.
Un aspetto fortemente connotativo è quello della contrapposizione tra parte elettrica, acustica a cappella, tecnologica e sperimentale ed il successivo ritorno alla componente tribale e Metal. Questa sequenza ha una funzione ben precisa?
È un disco nel disco, volutamente. Io provengo dal prog anni 70 e lì gli album erano dei viaggi assoluti. Avevi la sensazione di partire, perderti e, forse, ritrovarti alla fine. Mi riferisco ad album quali Darwin del Banco, o Ys del Balletto Di Bronzo, e tanti altri. “Via Lucis” nasce dal desiderio di comunicare qualcosa che vada oltre la musica in sé e, per comunicarlo meglio ad un pubblico attento, adopero sempre un accostamento tra musica e opere di artisti. Nel ‘900, Picasso, ma anche Duchamp o Man Ray, non facevano altro che creare corto circuiti per spiazzare il pubblico, pur riuscendo a veicolare concetti e qualità notevoli. Tutto il movimento dadaista è un non-sense, al contrario, sensatissimo, ma è mettere in discussione lo spettatore il vero scopo di quell’arte. Allo stesso modo, il mio Via Lucis, vuole farti fare un viaggio in cui voglio demolire tutte le tue certezze riguardo ad un genere musicale così monolitico, e spingere l’ascoltatore a cercare di proporre un senso a questa mia urgenza artistica. Tieni conto che viviamo in un’epoca in cui esce ogni giorno una valanga di musica, al massimo la si ascolta in streaming, al meglio ti ascoltano fino al minuto e venti della prima traccia. Il problema allora è: ma Picasso avrebbe fatto un’opera di un minuto e venti? in cui mettere tutto se stesso al massimo? o avrebbe mandato tutti affanculo e creato una suite di due ore? Io ritengo che questo sia un periodo straordinario per osare e creare alla maniera dei seventies. L’artista diventa il centro del mondo, non il contrario, oggi più che mai. Diversamente goditi i tuoi drammi quotidiani. Personalmente trovo tutto estremamente stimolante.
I brani sono nati attraverso un percorso difficile, tortuoso, quali sono stati i motivi che hanno ritardato l’uscita di “Via Lucis”?
Sono fondamentalmente pigro. Privo di interessi concreti e, probabilmente, mi piace più parlare di musica che farla. Il tutto comodamente seduto ad un caffè.
La sperimentazione musicale può essere un’arma a doppio taglio, dal momento che può risultare una forzatura nel tentativo di creare qualcosa di originale a tutti i costi, oppure può scorrere come un fiume in piena. Nel caso di Inchiuvatu ritengo sia più calzante la seconda, ma ci sono mai stati dei momenti in cui il percorso faticava a proseguire?
La creatività, se c’è, non ammette fatica ad esprimersi o periodi di carestia. C’è stato un brevissimo periodo in cui ho dato qualche lezione di piano. Ma prima ancora di accettare l’allievo, lo sottoponevo ad una specie di test. Non era importante se sapesse suonicchiare o meno, ma se in qualche modo riuscisse ad esprimere curiosità verso lo strumento. La musica materialmente non c’è. È qualcosa che devi catturare nell’aria, dentro di te, e tradurla sulla tastiera. Le mani, i tasti sono l’ultima cosa interessante del processo. Quando capivo che l’allievo, nel posare le dita sulla tastiera, aspettava che le note fossero un insieme di combinazioni lo mandavo via. Ma quando una sola nota predisponeva l’allievo al sentire tutto il resto ancora non suonato, bastava un DO e poi un silenzio per capire se c’era o no in atto della curiosità. Questo modo di vivere nell’indagine è tipico dei bambini e dei loro mille “perché”, ed è indubbio che hanno fame di ascoltare, scrutare, sognare anche oltre la realtà. Se c’è questo c’è sempre tutto eternamente. Perché un Do non sarai mai lo stesso Do anche dopo averlo suonato mille volte. Sta a te scoprire cosa c’è dopo nel divenire della vita e farlo arrivare a noi. Siate curiosi e dubitate sempre.
Un’altra risposta più tecnica può essere questa. All’inizio tendevamo tutti ad omologarci ai suoni che arrivavano da Tampa Florida, o dalla Scandinavia. C’erano dei limiti tecnologici e le batterie elettroniche rendevano tutto ridicolo. Diversamente, negli anni 80, le drum-machine hanno creato un’estetica vincente. Nel metal, purtroppo, sia le prime batterie vere che le triggerate, hanno solo creato disastri. Ma anche il resto del suono di chitarre e bassi non brillava. Tuttavia c’era una corsa all’oro e alla ricerca di un suono personale e definitivo che ti faceva sentire vivo. Ora invece c’è una standardizzazione del suono dovuto ai potenti mezzi tecnologici. Difficilmente trovi una band, anche alle prime armi, con un suono cattivo. Ma, superato lo scoglio tecnico, tutte le band tendono a spersonalizzarsi o omologarsi e a pagarne le conseguenze è sicuramente la creatività. Diciamo che al termine delle registrazioni di Miseria, nel 2008, ho faticato a sincronizzare la creatività del progetto Inchiuvatu, con la necessità di un suono identificativo e, man mano, con gli EP della pentalogia, ho capito qual è la strada migliore da seguire. Ci vuole unità. Suono, composizione, creatività, sperimentazione e personalità. Non si può scindere nulla.
“Triònfu” sia apre con una banda musicale, “Ruvina” si conclude tra applausi e nuovamente la banda musicale, puoi spiegarmi il significato di questa scelta?
Nel meridione d’Italia si fanno ancora le processioni del venerdì santo e della pasqua di resurrezione. Ovviamente la banda del paese suona melodie caratteristiche per sottolineare la solennità del momento. Via Lucis segue questo itinerario. La banda annuncia la resurrezione con un motivetto allegro e, nel finale, lo rinnova per l’avvenuta salita al cielo del Cristo e per la pentecoste. Il progetto Inchiuvatu deve essere legato al territorio. Assumere i connotati di quel neorealismo pasoliniano con tanto di andamento popolare e ritualistico. Ho sbagliato in passato a inseguire certe modalità sonore scandinave o americane. Inchiuvatu è figlio di un film di Pietro Germi, di Tomasi Di Lampedusa, di Pirandello e di Verga. Le mie sono splendide descrizioni verbali, sono bravo a parole, a chiacchiere da caffè, ma se ancora a questi presupposti non ho fatto seguire i fatti artistici me ne scuso e m’impegnerò a farlo. Perché questo dovrebbe essere Inchiuvatu e il mio impegno nel tenerlo in vita.
I lavori di Inchiuvatu sono sempre stati fortemente iconografici, con riferimenti religiosi, utilizzati anche con funzione metaforica. Tutto ciò sottende anche ad un’ottima conoscenza degli argomenti trattati. Da dove nasce l’interesse per queste tematiche?
Ma sei sicuro che alla base ci sia un’ottima conoscenza degli argomenti trattati? Ho fatto il chierichetto, è vero, ma non è che m’interessi di religione. Tutto quel che so deriva dalla storia dell’arte e le nostre chiese ne sono piene. Dalle tradizioni di paese, spesso più pagane che cristiane, e poco altro.
Terminata questa pentalogia cosa ci sarà nel futuro di Inchiuvatu?
Il futuro? Non ho idea di cosa mi comparirà domani aprendo gli occhi al risveglio. E sto imparando a non curarmene poiché ogni cosa va riconosciuta come falsa. Per ora non ho voglia di fare niente, o almeno credo. Ma talvolta, al caffè, butto giù qualche schizzo su cosa manca al progetto. Che tipo di tematiche, canzoni, immagini e possibili manifestazioni live. Ma è più un passatempo. Forse un quinto album sarebbe più che sufficiente. E poi chiudere. Penso che una band prog-metal, suonando in modo così vario, esaurisca presto tutte le proprie buone idee. E poi inizia a ripetersi, a citarsi, a pagarsi la bolletta. Direi che cinque album sono sufficienti, a meno che non si cambi completamente approccio. Per esempio una volta avevo appuntato da qualche parte l’idea di fare un disco totalmente acustico a nome Inchiuvatu, ma non alla Via Matris, qualcos’altro di sperimentale. Oppure uno interamente elettronico. Ma rimango dell’idea che dopo 20 anni, il progetto si esaurisce naturalmente e bisogna degnamente lasciarlo andare. Io sono per la libertà del suicidio assistito, sempre e comunque per gli esseri viventi, figurati per un progetto rock.
Prima di lasciarci vorrei conoscere il tuo punto di vista sul panorama Metal italiano. Da osservatore di lunga data, dagli anni ’90 ad oggi cosa è cambiato? Ci sono delle band veramente valide?
Ho conosciuto tantissima gente valida. D’altronde veniamo dal rock progressivo anni 70 e, se sei un ascoltatore serio e preparato, questo passato travalica anche nel metal più moderno. Quello che invece è venuto a mancare è una sorta di “marchio” italico che, in qualche modo, creasse un’estetica nei suoni, nei contenuti e nelle composizioni. Non importa se fai crossover o heavy metal, black o thrash, questa italianità doveva trapelare. Se senti i dischi del Banco, Pfm, Metamorfosi, Cervello, Alphataurus, capisci che quello è stato un periodo magico che ha bagnato tutta la penisola, rendendola di fatto unica. Per le band metal, seppur ottime, quest’alone di magia non c’è. C’è invece per i norvegesi. Per gli svedesi, c’è per i tedeschi o per gli inglesi. Ma non per gli italiani, perché? Una spiegazione storica potrebbe essere quella che, essendo lo stivale formato da città-stato in lotta continua tra di loro, ancora oggi conserviamo i tratti autodistruttivi di un popolo che pur di non veder trionfare il proprio vicino è disposto ad affossare se stesso. Rancoroso, invidioso, borghese e meschino. E in questo Tomasi Di Lampedusa era stato chiaro: “nei siciliani la vanità è più grande della propria miseria”. In fine, quindi, direi che siamo un grande popolo di miserabili con spiccate doti, anche nell’esprimere il peggio.
Ti ringrazio per il tempo che mi hai concesso, vorrei che lasciassi un messaggio ai nostri lettori. A presto!
C’è poco da dire. A 20 vuoi fare la rivoluzione imbracciando una chitarra e mettendo in rima qualche bestemmia. A 40 arriva la crisi e non sai più a quale santo voltarti. In tutto questo continui a consolarti con l’ennesimo disco stampatello dei Cannibal Corpse o degli Slayer. Come dire, ridatemi il ciuccio materno, ci stavo tanto bene con qualcosa in bocca. Presto tuo padre morirà, anche tua madre, e addio voler rientrare dal posto da cui sei uscito. Ti sentivi al sicuro lì, vero? Ma sei ancora qui a chiederti il senso della tua esistenza, e sono 50. Forse dovevi fare un figlio a cui raccontare il tuo apparente esistere tra collezioni di vinili e stupide borchie ammuffite. Intanto i santi si fanno vivi, e sono lo xanax, le droghe, l’alcol o la collezione di Mazinga Z digitalizzata, e poi l’ennesima riedizione di Cannibal Corpse e Slayer in vinile color vomito però. Questa edizione ti mancava, e fa pendant con tutto il resto della tua vita. Hai un piede nella fossa quando capisci che quella musica rivoluzionaria che ti ha fatto credere padrone del mondo, o di poterlo cambiare in meglio, era solo un’altra manifestazione falsa del casino che hai dentro la testa e della tua domanda, sbagliata. Sei fottuto amico! Dico sempre, pensate ai greci, a loro interessava la qualità delle domande, non le risposte. Solo così potrai godere del vero potere della tua vita tolto il velo di falsità in cui sei cresciuto. La musica così come mi è apparsa agli inizi degli anni 90 è stata una buona risposta, poi abbiamo smesso di farci domande di qualità, e tutto è diventato una enorme scadente e inutile angoscia. Affida la tua vita ai filosofi, ai maestri spirituali, cercati un guru e aspira alla liberazione di quel te stesso che credi tanto di conoscere. E sputa quel ciuccio e quei dischi “cattivi’’ che tra poco troverai allegati anche a Famiglia Cristiana. Non ti serve niente. Neanche leggere questa intervista.