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In Studio Con: Federico “Freddy” Veratti, chitarrista dei Rain

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Per questa seconda puntata della rubrica “in studio con” incontriamo Federico “Freddy” Veratti, guitar hero della scena emiliana, gestore e insegnante di chitarra presso la scuola di musica Musicology (accreditata Lizard), attuale chitarrista dei Rain che in passato ha militato in alcune delle band modenesi iconiche, navigando un po’ tra tutti i generi metal. 

Iniziamo con la prima domanda di rito per gli strumenti a corda… l’importanza delle corde 

Per quanto mi riguarda, le corde sono un argomento abbastanza complesso. Chiaramente dipende sempre da che cosa stai suonando quindi dal genere musicale, dalla chitarra che utilizzi e soprattutto dall’accordatura. L’aspetto più importante quando si scelgono delle corde è, secondo me, la dimensione A seconda dell’accordatura, infatti, le corde devono essere modificate per quanto riguarda lo spessore: in un’accordatura standard in mi, solitamente, tendo ad usare delle 0.10 della Ernie Ball. In tanti anni mi sono sempre trovato molto bene perché come tiraggio, a livello di tensione, in unaccordatura standard è una scalatura su cui mi trovo a mio agio sia su ponti fissi, sia su ponti mobili tipo floyd rose o tremoli. Con i Rain però utilizzo accordature più gravisiamo sempre stati accordati un tono e mezzo sotto, quindi in standard su Do#, ma con i pezzi nuovi stiamo passando al Si, il che porta grossissimi casini per quanto riguarda l’accordatura, che è legata al diapason della chitarra, cioè la distanza tra il capotasto e il ponte (sia esso fisso o mobile, non conta). Esistono chitarre baritone, quindi con un diapason più lungo, fatte apposta per accordature gravi, ma per chi come me, utilizza chitarre standard, occorre utilizzare corde grosse. Ci sono varie possibilità: utilizzare una scalatura tutta 0.12, che comunque non è molto grossa e ti permette ancora di avere sui cantini una buona manualità per il bending, o comunque tutte le tecniche da solista; utilizzare tutte le corde con una scalatura 0.13, con tutta la chitarra in Si sono comunque molto morbide e l’effetto non è particolarmente gradevole. Poi c’è la via di mezzo, con mute ibride con le corde basse un po’ più grosse e i cantini più sottili che è la soluzione che adotto io. 

Bene, arriviamo ad uno degli argomenti più corposi in un’intervista di questo tipo: sotto le corde, c’è la chitarra 

Per le chitarre vale la sessa premessa fatta per le corde: la scelta dipende essenzialmente dal genere che suoni e dalle tecniche che usi. Io sono nato con le chitarre con il Floyd Rose, quindi le prime chitarre che comprai furono delle Ibanez. All’epoca (anni 90) andavano molto di moda, grazie a Steve Vai e soci che, soprattutto sugli adolescenti che avvicinavano questo mondo, avevano molto appealNei primi anni di attività sperimentai molto: la prima chitarra buona che comprai fu una strat della fender, dopo comprai una Ibanez Gambale e dopo ancora una Ibanez Steve Vai, quella famosa bianca, per intenderci, che usci nel 93 o nel 94, associata all’album Sex & Religion. Alla fine la vendetti e, a fronte di tutta l’esperienza fatta, mi feci fare una chitarra di liuteria da Frudua di Imola, diventato famoso perché faceva le chitarre a Braido. Mi feci prendere dalla possibilità di personalizzare la chitarra come volevo io a livello di materiali, colori forme: me la feci fare rossa, con il ponte dorato, tastiera in ebano la paletta rovesciata… era un’epoca di grande Hard Rock, quindi tutte le cose più tarocche che si potessero immaginare erano molto apprezzate! Era comunque una chitarra costruita per tutte quelle tecniche che focalizzate sull’hard rock dell’epoca: i fischi, le note tirate, giochetti con i ponti, insomma tutte quelle cose alla Satriani e Vai. 

In generale, indipendentemente da quello che uno suona, nella mia scuderia di chitarre una strato e una tele non possono mancare, perché sono davvero importanti nella formazione di un chitarrista. Uno può scegliere diverse varianti, in base soprattutto ai legni, ma sono prodotti molto standard, che contribuiscono a “costruire” il proprio percorso da musicista. Sempre all’interno di quel mondo, ebbi anche una Valley Arts, quella di Steve Lukather, per intenderci. 

Le cose cambiarono quando cambiai genere e mi spostai dall’hard rock: iniziai a suonare con i Nero Nova, con accordatura in Si, seguendo un po’ la scia di gruppi come Machine Head, Korn, Sepulltura. Per quanto mi ricordo, i Pantera erano scesi in Re, ma i primi, tra le band affermate, a suonare in Si furono proprio i Sepultura in Roots. Accordature così basse però non si sposano bene con ponti mobili e Floyd Rose, inoltre ci serviva un suono molto grosso, molto potente, che da quel tipo di chitarre fai fatica a tirare fuori: quindi mi sono spostato sulle Les Paul custom, che, come sappiamo tutti, sono dei veri e propri comodini da suonare, pesantissime, più di 5 Kg. Con quel tipo di chitarra, e con le corde 0.13, si riusciva a tirare fuori il suono che serviva, molto grosso e molto pieno, soprattutto nelle frequenze medie e medio-basse… è meno squillante di una strato, ma è proprio il suo bello; anche nei soli le note sono sempre molto piene e molto tonde. Tra l’altro su una delle mie Les Paul, misi degli EMG, i classici 8185, fondamentalmente perché ero un appassionato di Zakk wylde, che usava quei pickup; tra l’altro suonava molto bene sulle testate Marshall, che ho utilizzato per anni. Anche oggi, che sono tornato un po’ verso l’hard rock, o comunque verso generi meno pesanti, suono con le Les Paul, senza pickup EMG ma con dei pickup passivi. 

Quanto trovi importanti i legni, su una chitarra elettrica? 

Il legno è quello che è a contatto con la tua pelle, non è la stessa cosa suonare una chitarra con una tastiera in ebano, una in acero, una in palissandro… la scorrevolezza non è la stessa, il feeling non è lo stesso, il suono di una tastiera in acero è più squillante, una tastiera in ebano lo rende più scuro. Ogni tanto, soprattutto nelle Les Paul standard, capita di trovare in chitarre di fascia medio alta, dei manici fatti con legni scadenti: ecco, questa è una cosa cui prestare particolare attenzione. Anche per quanto riguarda il corpo, il legno influisce sulla timbrica: non sono d’accordo con quelli che dicono che il suono lo fa solo il pickup: vedrai che, a parità di pickup, ampli e settaggi, un corpo in mogano, uno in frassino, uno in ontano, hanno variazioni timbriche anche consistenti. E non solo il timbro, anche e soprattutto il sustain 

La chitarra ce l’hai poi attaccata allo stomaco, una chitarra di un legno vibra in un modo, con un altro legno la vibrazione è diversa e influisce sul tuo feeling con la chitarra. Il legno influisce sul peso e anche questo ha una sua influenza sul tuo modo di suonare, ad esempio sulla tua impostazione fisica: un conto è suonare con una chitarra da 5 Kg, un conto una da 3,5. Per farti un esempio, per anni ho avuto anche una Washburn, la N4, quella di Nuno Bettencourt: bellissima, bel suono, ma quando la avevo addosso sembrava mi volasse via. Una Les Paul la senti addosso, ti dà forza, una volta che ci fai l’abitudine. 

Riguardo i pickup, cosa ci puoi dire? 

Per anni ho usato sulla Les Paul degli EMG; ora utilizzo dei Seymour Duncan, il custom 5 al ponte e jazz al manico. Mi piaceva tornare all’idea di un pickup passivo. L’ampli su un pickup passivo reagisce diversamente. Non sono pickup particolarmente aggressivi: mi piace avere una buona intelligibilità  sulla chitarra e un suono otente sull’ampli. Piuttosto preferisco dare su al gain. Sono entrambi (il custom 5 e il jazz) abbastanza mediosi, quindi tendono a far capire ben quello che fai sulla chitarra: se prendi pickup molto bassi con accordatura bassa, fai troppo pastone… poi su chitarra di mogano con tastiera in ebano, non ne parliamo! 

Altro argomento abbastanza complesso è quello relativo al ponte: che consigli puoi dare? 

In primis il ponte ha una grossa influenza sul sustain. Le Les Paul hanno il ponte fisso, i ponti mobili, anche di buona qualità non hanno lo stesso sustain. Per quanto mi riguarda la scelta è stata obbligata dall’accordatura; in più nel genere che faccio adesso non servono le funzionalità dei ponti mobili. Certo i ponti mobili danno diverse possibilità in più, ad esempio puoi ottenere escursioni sia in alto che in basso della nota che stai facendo. I ponti mobili, senza opportuni accorgimenti, portano più facilmente ad avere problemi di accordatura: le chitarre con il floyd rose hanno un blocca corde per cui la chitarra non si scorda. Per dire, se devi far un time bomb (tipo limp biskitz), è fondamentale. Il ponte tipo strato (tremolo) è molto più adatto a fare dei vibrati. Questo può essere inchiodato al corpo della chitarra con 6 viti o con due, e questo ti da un diverso sustain: com’è facilmente intuibile, il ponte inchiodato con 6 viti ha comunque molto sustain. Il ponte è davvero molto legato al genere: Darrell, o Vai, senza il floyd rose non avrebbero avuto lo stesso successo perché i fischi che facevano, le tecniche che utilizzavano, si fanno solo con il floyd. Zakk, ad esempio, non ha mai usato quelle tecniche e ha sempre utilizzato solo Les Paul. 

Eccoci arrivati all’ultimo aspetto della chitarra: l’elettronica 

Senza dubbio elettronica passiva: l’ho avuta su tutte le mie chitarre tranne la Valley Arts, ma è stata più una conseguenza di altre scelte, che una scelta mirata… come sulla Valley Arts, invece, ho dei pickup emg attivi con elettronica attiva, la cosa bella è che il pomello del tono è quindi un boost, il suono si alza di volume e si ingrossa, se lo usi con una distorsione, è proprio come un overdrive. Questa è una genialata di Steve Lukather che ha sempre avuto sulle sue chitarre, anche se adesso, che usa Musicman, ha un tasto invece di un pomello, quindi meno regolabile, ma più rapido da utilizzare 

Parliamo di innovazione: dove pensi ci sia più margine per vedere qualcosa di nuovo nei prossimi anni? 

Partiamo dalla sette corde, anche se ormai è un’innovazione solo per noi anziani degli anni 90. È sempre stata un po’ un tarlo, nel senso che non sono capace di usarla; ho provato e ho sempre avuto l’idea di comprarla, ma fondamentalmente non mi piace come suonano i modelli che vengono fatti a 7 corde… ho provato Schecter, ho provato Ibanez, ma sono tutte chitarre che non mi appartengono, in tutto, nella costruzione, nel manico, nella forma… in ogni caso, non ho mai sentito l’esigenza di avere una sette corde, ho sempre suonato le 6, anche molto ribassate, non ho mai sentito la necessità di dover fare un assolo con anche il mi cantino. 

Riguardo il multiscala, anche su quel fronte non trovo molto interesse… la chitarra nasce come strumento imperfetto, la nota non è mai del tutto perfetta, ma è quello che al nostro orecchio funziona bene. Se senti qualcosa di MIDI che replica il tuo strumento, quindi perfetto, il tuo orecchio non lo accetterebbe sempre come qualcosa di bello. Anche una piccolissima stonatura, dei piccoli battimenti (quando due note non sono perfettamente accordate, producono delle false onde dovute al battere di una sinusoide con quell’altra… se sono perfettamente accordate, vanno avanti di pari passo, se non lo sono, a un certo punto, una tocca l’altra), rendono il suono un po’ impreciso e imperfetto, ma è quello che il nostro orecchio e il nostro cervello percepiscono come bello. 

Parliamo adesso di un argomento da sempre sottovalutato: la cavetteria 

C’è una differenza enorme tra cavi budget e cavi buoni, questo è indiscutibile. Io me li faccio sempre fare, perché quelli di qualità sono ormai arrivati al furto legalizzato: un reference ti costa 60-70 euro. Solitamente mi rivolgo a professionisti che usano dei cavi sfusi buoni e dei jack buoni. Nei cavi da negozio chiaramente paghi la pubblicità, paghi la distribuzione, paghi il package e tutto il contorno. 

La qualità del jack e del cavo stesso sono fondamentali, sono i binari su cui gira il nostro suono: più la qualità è bassa, ma anche più sono lunghi, più si degrada il segnale. Ecco perché, ad esempio, se si ha necessità di cavi molto lunghi, si usano i cavi bilanciati che “girano” il segnale, cioè lo portano in controfase e lo riportano in fase al momento dell’ingresso nell’output e lo mantengono bene, sia in qualità, sia un volume. Non si scappa, più sali di qualità, più il tuo segnale rimane integro dalla chitarra alla fine della catena. Ci possono essere altri accorgimenti, io ad esempio ho in pedaliera il noise gate, ma anche l’accordatore boss, che sono anche buffer. In questo modo si recupera un po’ di segnale. 

Altra cosa che in moltissimi sottovalutano, è come “far su” i cavi… non si devono fare matassine troppo strette, bisogna seguire l’anima del cavo quando lo si avvolge: per capire se si è fatto bene, lo si avvolge e lo si appoggia per terra: se rimane come l’hai avvolto va bene, se si allarga, l’hai avvolto troppo stretto. 

Per quanto riguarda il wireless, posso dirti che al giorno d’oggi anche i modelli di qualità media sono molto buoni: nel tour che con i Rain abbiamo fatto di supporto ai WASP, loro usavano dei sistemi con dei ripetitori molto invasivi, ma non abbiamo avuto nessun problema, perché il nostro sistema, seppur di budget nettamente inferiore, non ha avuto nessun problema e non ha subito nessuna interferenza. Ti dirò di più, tra un cavo lungo e un sistema wireless, preferisco il wireless. Al netto di ricordarsi di cambiare le batterie e di averne sempre di nuove di scorta! 

Siamo all’argomento principe per i musicisti\nerd: la pedaliera 

La mia pedaliera è sicuramente classica, con la presenza sia di pedali analogici che digitali, con una parte che va direttamente dentro l’ampli e una che va nel loop effetti (send\return). 

La parte “frontale” è fatta dai pedali analogici, la parte che va nel loop effetti, da pedali digitali. 

Effetti analogici: accordatore Tc Electronics, overdrive Friedman BE-OD e distorsore: quest’ultimo lo uso solo per cose particolari, perché in genere uso la distorsione dell’ampli. Sempre frontali ho le modulazioni: phaser mxr phase 90 (un classico) e chorus\flanger tc electronics anni 90. In mezzo chiaramente c’è un looper della boss, da cui gestisco le varie combinazioni di pedali. Poi ho due pedali strymon, reverbero e delay, molto puliti e cristallini, che vanno nel send\return, perché usando la distorsione dell’ampli, gli effetti ambiente (ma, se uno volesse, anche le modulazioni) devono restare separati. Essendo due pedali midi ho la possibilità di gestirli dal looper Boss, cosa importantissima! 

Come sei arrivato a questa configurazione? 

In realtà, rispetto a questo argomento, io sono sempre stato uno molto legato alla catena “mano-chitarra-ampli”, pedali li ho sempre usati pochissimo. Ne ho sempre provati molti, ma non sono un fanatico. Anche negli assoli, ad esempio, non mi piace esagerare con delay, reverberi ecc., ne metto giusto il minimo indispensabile per “riempire” un po’, ma lasciando spazio all’ intelligibilità, per chi ascolta, di quello che suono. Nel dettaglio, il phase 90 è una scelta di cuore, oltre che tecnica: io sono legato molto a Van Halen, per cui quella è IL phaser; il tc electronics ha un chorus molto molto profondo che in altri pedali non ho riscontrato. Per quanto riguarda gli strymon, mi è bastato provarli per prenderli senza neanche pensare al prezzo, perché hanno una quantità di suoni già pronti incredibili, una cristallinità purissima: le tue note entrano ed escono pulitissime, cosa che nei pedali digitali non è scontata, anzi molto spesso manipolano troppo il suono e lo rimpiccioliscono; gli strymon assolutamente no, forse anche grazie ai buffer interni che hanno. È molto importante avere buffer in più punti della pedaliera, aiuta veramente tanto a mantenere la qualità del suono… poi è chiaro, c’è gente come Nuno Bettencourt che per anni ha suonato con una pedaliera boss, ma in quel caso, si è talmente tanto affascinati da quello che fa, che il resto conta davvero poco! Ma alla fine sempre li arriviamo, dipende dall’orecchio di chi ascolta: molti ritengono che gli strymon siano troppo cristallini, per me è invece un valore aggiunto (almeno su questo tipo di effetto). Poi, attualmente, suono solo con Rain, per cui quei pedali non mi servono, ma li ho scelti perché, per la qualità che hanno, per le possibilità che offrono (hanno lo shimmer, il detune, l’harmonizer), me li porterò dietro a vita. 

Testate: da dove sei nato e dove sei arrivato 

Sulle teste ho “lavorato” davvero molto. Diciamo che una volta era più facile, perché gli ampli costavano ma mantenevano un buon valore sull’usato e si rivendevano più facilmente. Adesso costano ancora tanto, ma perdono rapidamente valore e c’è meno mercato. Ad ogni modo, il primo ampli veramente bello che ho avuto è stato un pre, il triaxis della Mesa Boogie (quello che usava Petrucci) con il vecchio finale della Marshall. Il mio percorso è stato quindi un po’ particolare, è raro partire direttamente con un rack. Ad ogni modo, esperienza molto positiva, anche perché inizi subito a capire come una funziona una testata, su cosa lavora un pre e su cosa lavora un finale… Tutto valvolare, quindi con un suono davvero pieno. Teneva però davvero molto spazio ed era tutto molto pesante: un solo rack per il finale, che pesava 20Kg solo lui, nell’altro rack, il pre, il noisegate, il multieffetto e il compressore altri 20Kg, se ci metti che andavo via con due casse Marshall 4×12, prova a immaginare… Ero fortunato perché avevo una Y10 primo modello, quella con il posteriore molto squadrato, per cui riuscivo ad incastrare tutto 

Poi entrai nel mondo delle testate, con una Peavey ultra con un bellissimo suono e la particolarità dell’illuminazione della scritta che cambiava a seconda che si utilizzasse il clean, il crunch o il distorto. Peavey è sempre stata famosa per i suoni metal pesanti, mi pare che all’epoca fosse usata dai Testament, con le sue testate più famose, la 5150, la 6505 e via così. Poi mi spostai sul Rectifier Mesa Boogie, 3 canali, usato dai Korn e da tante altre band… Bell’ampli, ma qualcosa ancora non mi soddisfava a pieno. Provai poi una Soldano SLO100, testa molto usata nell’hard rock che però non era adatta al metal che facevo. Alla fine mi convinsi ad andare in studio da un amico, al fear studio di Gabriele Ravagliae cercare il mio suono… con un overdrive davanti, trovai la masrshall jcm800, esattamente come Zakk Wylde, ma chiariamoci, Zakk Wylde non centrava nulla, non è che volessi emularlo, era semplicemente il suono che cercavo. Ne comprai due, una da utilizzare per i puliti, l’altra per i distorti: li switchavo dalla pedaliera e per anni sono andato avanti co, fino all’acquisto della Bogner Ecstasy, versatilissimama un po’ incasinata perché ha davvero tante opzioni di configurazione. Alla fine però l’ho venduta e ho tenuto una jcm800, perché comunque all’epoca facevo hard rock e l’ho usato per davvero molto tempo, alla fine ho capito che quel suono lo avevo nelle orecchie, la mia generazione è venuta su con il timbro Marshall, da Van Halen fino agli inizi del metal, agli Entombed, ai primi gruppi deathAlla fine il jcm800 ha avuto una seconda vita con il metal più pesante, perché comunque ha delle frequenze che bucanose hai un’accordatura bassa, con un overdrive davanti, sei sicuro che “vieni fuori”. Altra cosa fondamentale dei Marshall è che non si rompono, e l’affidabilità è davvero molto importante, soprattutto per chi suona molto fuori. Poi una volta nei Rain ho avuto necessità di sostituirlo (anche se un Marshall, nella vita, bisogna sempre averlo, tant’è che a scuola ho un jpm, che è un po’ il papà del jcm, del 1977) e sono passato a fender, una Evh da 50 watt, quella piccolina, perché è molto versatile, il timbro del crunch è comunque molto marshall, ed è midi, quindi inserita nel mio sistema, riesco a pilotare tutto con estrema semplicità, senza dover fare il tip tap tra i pedali. 

Ultimo argomento della catena, le casse. 

Casse vuol dire coni: io sto sempre su due tipologie di coni: i vintage 30 (Celestion, ma non necessariamente) e i greenback. I vintage 30, essendo un po’ più rigidi, sono un po’ più cupi hanno più margine sulla resa rispetto al crescere del volume… a me è capitato, anche la 50 watt, di doverla tenere alta, e lì il vintage 30 rende molto meglio. Poi è vero che dal vivo, nel 99% dei casi, esci dalla DI verso il mixer, quindi la cassa la senti solo te sul palco… io poi sono uno di quelli che hanno bisogno del feel della testata e della cassa, per cui non suonerò mai con i tipici silent stage totalmente digitali, a meno di non esserne costretto. Chiaramente girando su molti palchi, l’uscire dalla DI è una scelta obbligata, a meno di non portarsi sempre dietro la propria cassa, perché non sai mai nei vari locali cosa puoi trovarti e rischi di vanificare la tua ricerca di un tuo suono con chitarra, testata e pedaliera. Tra l’altro, puoi anche portarti la tua cassa, ma poi devi anche portarti i microfoni, perché anche li, si può vanificare tutto! Ricapitolando, cassa con coni greenback sarebbe la mia scelta preferita, cassa con coni vintage 30 è più adatta con accordature basse, distorsioni e volumi alti.