Buona la prima, registriamo. E’ tanta la voglia di dire, di urlare al mondo la propria rabbia interiore che agli Underdocks non interessa la perfezione. Ciò che è emerso in sede di registrazione è stato consegnato ai posteri. Aggiunte le backing vocals e via.
“Questi siamo noi” sembra dire la band torinese che si presenta con “Burnt“, album composto da otto tracce aggressive, sporche, senza fronzoli o aggiunte strane.
C’è da dire che questo è un lavoro genuino, dove le imperfezioni nei tagli ed a volte nell’intonazione sembrano voler dare quell’ulteriore tocco di veridicità al progetto.
Il concetto del “Buona la prima” può essere inteso sicuramente come un valore aggiunto se si ha la capacità di essere lungimiranti ed immaginarsi la band in sede live. Ciò che non mancherà sul palco sarà sicuramente l’energia, anche perché gli Underdocks sembra abbiano tante cose da dire al mondo e sfogarsi con la musica è sicuramente il metodo migliore.
Il viaggio rock inizia con “Sick Of You”, giusto per restare in tema: un brano che mette in guardia il prossimo e costringe Massimiliano Morganti a spingere con la voce, pur non assurgendo ad emblema della purezza e precisione.
Nessun lavoro di taglio e cucito nelle tracks successive: evidente in “Begging God” (al minuto 1:44) una presa di fiato del cantante che i più pignoli avrebbero eliminato in fase di editing per una questione di stile ed invece gli Underdocks tengono il pezzo così com’è.
Buona la titletrack, specie nell’intro: racchiude perfettamente il cuore dell’album e rispecchia quella vena polemica che percorre l’intera release.
Benché l’estensione vocale di Morganti sia apprezzabile, è quando la sua voce si mette al pari degli strumenti che regala più emozioni. Ad esempio in “On Your Way” il lavoro d’insieme diventa eccellente, lasciando ad ogni membro della band, e al proprio strumento, la possibilità di essere perfettamente riconosciuto.
“Back Out” è un grande pezzo: ho apprezzato molto la chitarra d’oltretomba che ti fa quasi venir voglia dell’headbanging.
“Burnt” rappresenta dunque un lavoro abbastanza completo, sicuramente perfettibile ma denso di spunti interessanti che richiamano alla mente i suoni ovattati di un Grunge da garage. Bella anche la scelta dell’artwork, esplicativa del concetto di un messaggio veicolato attraverso la musica, ma a denti stretti.