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Septem: “Living Storm” – Recensione

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Un album appena uscito ed un terzo già in cantiere. Sarà che questi Septem hanno molto da dire. Sarà anche che, una volta assaggiato il gusto di confezionare un buon prodotto, siano uscite ulteriori nuove idee da voler sviluppare.
Ed eccoci quindi a raccontarvi di questa band ligure che ben si inserisce nel nostro panorama musicale.
Ha bei modi, bell’attitudine, ottimo gusto musicale e grande visione d’insieme.
Cinque componenti che nel corso della giornata ascoltano cinque generi di musica differenti. Come siano riusciti a giungere ad una quadra, resta un mistero. L’importante è che ce l’abbiano fatta. E di questo non possiamo che essere contenti, perchè sentiamo di dire che se lo sono meritati.

Living Storm” è il secondo lavoro dei Septem, quello che ha iniziato a dare una certa impronta. Classificati generalmente come heavy metal, i ragazzi di La Spezia spaziano tra i generi, si divertono e convincono.
“Lord Of The Wasteland” è la traccia d’apertura e già qui possiamo individuare l’essenza della band. L’intro marciante è perfetto per l’inizio di un concerto perchè poi procede con un ritmo in crescendo. La voce di Daniele Armanini è genuina: un timbro pulito che rispecchia la sua persona e il suo tono di voce naturale; Franecsco Scontrini (chitarra) si cimenta invece nel growl possente, come nella titletrack, ed è così che riusciamo apprezzare i vari colori delle voci.
La vera forza di “Living Storm” e dei Septem in generale è l’importanza che è stata data ai chorus. Questi assumono una funzione fondamentale nel loro lavoro perchè concepiti proprio per rendere i pezzi memorabili, nel senso che restano ben impressi nella memoria.
Si gioca sulla presa dell’ascoltatore, dimostrando così anche una consapevolezza di cosa può arrivare e a chi.
“Milestones” mi ha ricordato per certi versi “Second Heartbeat” degli Avenged Sevenfold: questo perchè, come si diceva, i Septem spaziano tra i generi e non è un caso quindi che si giochi molto anche attingendo al metalcore o all’Alternative Metal di cui sappiamo essere un estimatore il chitarrista Francesco Scontrini.
Il resto della band, specie Armanini, invece cerca di aggrapparsi all’old school. Un thrash più moderno con le influenze dei grandi ben visibili, anzi, ascoltabili.
Bello il giro di basso che incornicia “Cielo Drive”, chiusa dall’assolo di chitarra.
Lodevole anche l’unica ballad presente nel disco, “Waiting For Dawn”: una dimensione quasi sognante ed intima, con il filo conduttore della melodia che continua a farla da padrona.
Un bel lavoro che merita un ascolto e possibilmente il supporto in fase di live.