Il caso del Red Devil Pub di Rimini, i suoi 100 euro offerti e la polemica che poi ne è nata, nonostante le scuse del diretto interessato, hanno richiamato pareri diversi. Varie sensibilità che vanno, a nostro avviso, tenute in considerazione.
Un musicista italiano mi ha infatti contattata chiedendo di lasciare – in maniera anonima – una sua riflessione.
Rispetto la decisione di tenere la propria identità segreta, non la condivido al 100%, ma ritengo che valga la pena dare un occhio alla sua riflessione:
Era il 7 Gennaio scorso quando internet – o forse dovremmo dire “l’internet” – ci ha regalato l’ennesima ribellione online, dopo che sulla pagina facebook di un locale di Rimini, il Red Devil
Pub, è stato pubblicato un post che recitava “CON 100€ IL MONDO SAPRA’ DI VOI…ESIBITEVI
AL RED DEVIL”.
La ben poco allettante offerta è stata proposta per ben due volte: “CON SOLI 100€ PUOI SUONARE AL RED DEVILPRENOTA LA TUA SERATA……” era infatti il primissimo messaggio comparso sulla bacheca del locale.
Poche ore e l’inferno si è scatenato. Insulti, lamentele, critiche, una serie interminabile di recensioni negative al locale tramite qualsiasi opzione di rating virtuale disponibile, decine e decine di risposte al post. Nella mattinata dell’8 Gennaio (Ascanio lasciamolo dov’è per questa volta) scatta poi la più banale delle scuse, forse l’unica via d’uscita vista da tale ‘PIERPAOLO PAOLINI’ – uno dei due gestori del Red Devil – che posta “IL LINK DEI 100 EURO è FATTO APPOSTA X PROVOCAZIONE. E PUBBLICITA’…CHIEDO SCUSA ALLE PERSONE CHE SI SONO SENTITE
PARTE LESA. L’HO SCRITTO IO PIERPAOLO PAOLINI. .CIAO.”.
Le critiche continuano, la gente si infuria. C’è chi sostiene che “evidentemente l’altro gestore deve essersi incazzato di brutto”, chi che tra lo scusarsi in questa maniera e lasciare tutto com’era sarebbe stata quasi meglio la prima opzione, chi non crede assolutamente che fosse una provocazione, chi racconta la propria esperienza al locale…ed un grosso nome nella scena italiana (Timothy Cavicchini) che addirittura dice “Allora sei un pagliaccio due volte, dimostrando inoltre di non saper fare il tuo mestiere… chiudi và!!”.
Nell’indignazione dell’artista c’è però una grande verità che apre quello che a parere di chi scrive, è un vero e proprio vaso di Pandora. Quel “dimostrando inoltre di non saper fare il tuo mestiere” focalizza con molta semplicità e schiettezza una problematica pesantissima della realtà musicale italiana.
Ben prima del commento di Timothy, il mouse mi ha inevitabilmente portato a cliccare sulla pagina personale del fautore della disfatta mediatica del Red Devil… Non ha gran senso postare degli screenshot della situazione,tutti possono dare un’occhiate e trarne le proprie conclusioni.
Questo personaggio altri non è che uno dei tanti gestori che quando le band si propongono, ha potere di dirti “no grazie, nel mio locale non ci suoni”.
La questione di base è però giù grave, perché lui può essere inserito in un insieme molto decisamente più ampio di elementi che contribuiscono, ognuno giocando la sua vergognosa parte, a distruggere la scena musicale italiana. La realtà è che la situazione che ci circonda è drammatica. Lui non è uno dei pochi gestori che distruggono la scena perchè, Timothy Cavicchini ci ha preso in piena “non sa fare il suo lavoro”, lui è solo uno dei tanti che hanno deciso di inserire la musica dal vivo nel proprio locale per arrotondare, non avendo idea della serietà necessaria per portare avanti decentemente il discorso.
Senza competenze musicali, ma d’altronde siamo tutti ascoltatori di musica, non servono competenze per capire se una band è valida o no?
Senza cultura musicale, ma tanto mica serve saperne qualcosa, basta avere gusto per capire
se va bene o non va bene far suonare una band nel proprio locale.
Senza capacità di distinzione tra i generi, ma tanto chi se ne frega della programmazione, in un
locale possono suonare tutti indipendentemente dal genere, basta che suonino bene…e se
suonano bene o no lo capiamo tutti!
Senza cognizione di causa dal lato backline, tanto le band che vengono a suonare si arrangiano da sole, io gli pago la SIAE (a volte) ed offro uno spazio, non è mica poco no? Il fatto che ci siano di mezzo impianto, fonico, acustica del locale, empals, viaggi, prove…cazzi della band.
Senza una vaga idea di cosa significhi per una band proporsi a suonare in un locale, tanto una
band ha voglia di suonare, basta quello!
Senza una vaga idea di come relazionarsi con le necessità della band…perché il soundcheck alle 19.00 non si può fare perché iniziano ad arrivare i clienti per le cene, ma il locale prima delle 18.00 non lo apro perché mica mi pagano e spreco corrente e riscaldamento, poi il concerto deve iniziare dopo le 22.30 perché prima c’è la partita. Parliamoci chiaro, questa serie di frasi potrebbe andare avanti a lungo…
Se tra le tante cose su cui un gestore lavora bene, una di queste problematiche fosse persa di vista, non sarebbe neanche così male, ma la triste realtà vuole che la norma è che tutto questo sia lo standard, e solo raramente un locale offre un punto decente.
Trovi così il locale con molto spazio per suonare, ma che non ha un palco definibile tale, l’impianto che non esiste e va portato dalla band (ovviamente senza considerarlo nel cachet, ammesso che il
cachet ci sia), e l’acustica di merda.
Trovi il locale che ha un ottimo palco e l’impianto fighissimo, ma è in realtà un ristorante con zona concerti, e quindi se non fai cover devi leccare il culo 10 anni per suonarci forse una volta, senza
cachet – figurarsi – e con il soundcheck hitleriano dalle 18 alle 19 in cui mentre il batterista monta i fusti deve già fare il check della cassa.
Trovi il locale che ha il palco, ma ha l’impianto e il mixer che usava il nonno del gestore nel 1965 e delle bellissime pareti piastrellate.
Trovi il locale assurdo che ha rinnovato tutto, facendo un bel palco, una sala con un acustica da panico, ma ha dimenticato di mettere nel budget un set di microfoni e, sopratutto, due casse che se non delle splendide Behringer da 150w, ovviamente senza subwoofer.
Calma però, i locali con un buon impianto, un ottimo palco ed un ottima organizzazione ci sono! Ne
abbiamo ben 3 categorie!
1) Quelli che chiudono, suddivisi a loro volta in 3 sottocategorie:
– quelli che chiudono perché i vicini li boicottano con denunce per schiamazzi;
– quelli che chiudono perché per evitare le denunce per schiamazzi vengono aperti in culo ai lupi e
quindi sono inevitabilmente poco frequentati;
– quelli che chiudono perché per reggere le spese economiche sono costretti a mettere dei biglietti
anche per le band più piccole, e visto che l’interesse per la musica dal vivo sta tremendamente
scemando anche sui nomi più grossi, finiscono per non poter tenere in piedi l’attività.
2) Quelli che sono oggettivamente troppo grossi per poter ospitare realtà diverse dai grandi nomi
(leggasi Alcatraz, Live Club, Estragon, Revolver)
3) Quelli sull’orlo del disastro, che boccheggiano ogni anno nella loro lotta morale contro questo
schifo (con i coglioni, e meritevoli di applausi indipendentemente da tutto) e che devono comunque
scendere a un mare di compromessi legali per tenersi in piedi. Una schiera di locali capeggiati dal
Colony Club e dal Dagda che già più volte si sono espressi pubblicamente a riguardo, e che tutti
speriamo reggano facendo il tipo ma troppo poco spesso supportandoli…
In tutto questo però, come nella vita di coppia, gli errori si fanno sempre in due…anzi, in questo caso, in tre. Le band non sono meno colpevoli, gli ascoltatori con loro.
Il caso Red Devil Pub ha scatenato una polemica dove tutti, da musicisti a sostenitori della musica dal vivo hanno espresso la loro vergogna verso la sconcertante “offerta” del locale. Eppure di fronte all’indecente panorama descritto fino ad ora, le band pur di suonare accettano i compromessi. Il locale ha sempre il coltello dalla parte del manico, e la band scende sempre al compromesso…anche perché l’alternativa è starsene a casa. Eppure a volte la cosa giusta da fare sarebbe proprio stare a casa, perché piuttosto che suonare in una sala piastrellata che rende fastidioso anche il suono più bello, con un impianto finito, senza microfoni a sufficienza, senza un fonico capace perché in realtà è il fratello audiofilo del proprietario, gratis e nella periferia sperduta
della frazione del comune sperduto…forse sarebbe davvero il caso di stare a casa.
Quello che purtroppo e per fortuna fa davvero la differenza, è che il musicista ama la musica, il gestore ama i soldi, e questo per un musicista è una – per quanto splendida – condanna eterna.
Il vero musicista ci gode a suonare, ama la musica, ed è davvero la cosa più bella, quell’unica grande forza che muove l’intero universo musicale. Il musicista che davvero si può definire tale ama la musica al punto che pur di poterla vivere, pur di poter suonare, non guarda in faccia a nessuno, perché ogni istante in cui si suona, è un istante magico. Quello che andrebbe imparato però è che è proprio questo amore, questa ammirevole e stupenda verità, che andrebbe tutelata e rispettata. Questo grande amore che i musicisti hanno per la musica, dovrebbe farli
lottare fino alla morte per potersi esprimere come si deve, non “comunque vada va bene”. E’ stato
proprio a causa di questo continuo ridursi a qualsiasi condizione pur di suonare che ha distrutto la scena.
Prendiamo quindi per scontato che la band che si propone al locale, abbia una proposta valida. La band avrà di certo fatto mesi e mesi (se non anni) di prove, e il primo grosso errore della band di musica propria è quello di porsi “a paragone” con una coverband.
“Quelle maledette coverband hanno monopolizzato il panorama”
“Mi fa schifo pensare che una band fatta da gente che imita altra gente abbia più valore
della mia band, che offre una sua personalità”.
Ragazzi, una band i propri pezzi li sente, li crea… una band comprende e vive i propri pezzi
dall’interno, e anche mentre li suona, li ha in mente per come DOVREBBERO risultare.
La realtà è che la cover band dei Metallica partirà sempre avvantaggiata, perché io che ascolto il concerto, andrò lì sapendo benissimo che il cantante in quel passaggio canterà “Exit Light, Enter Night”, mentre arrivare a fine concerto della band originale avendo compreso anche solo qualche frase dei testi, sperando che la voce si senta e si comprenda, è già un successo.
Mettendo in campo questa realtà… davvero ha senso accettare qualsiasi compromesso? Davvero è corretto perdere giornate intere, provare per mesi, per andare in locale, gratis, a far sentire un grosso pastone sonoro a quei pochi che hanno deciso di andare a vedere il concerto?
Pochi, perché pochi?
Perché il pubblico ha capito così bene quanto le situazioni del 90% della musica dal vivo siano costrette a queste situazioni, che ha giustamente smesso di andare a vedere i concerti, perché la probabilità che si finisca in una situazione realmente accettabile per qualcuno diverso dai musicisti suonanti stessi, è bassissima. Il pubblico lo ha capito ancora meglio dei musicisti probabilmente, e a forza di scendere a compromessi, i musicisti si sono rovinati da soli, al punto che nemmeno band e situazioni che sono davvero valide stimolano più…e tristemente l’immenso errore che il pubblico fa è non interessarsi più, neanche quando poi tutte le carte sarebbero in regola per uno show coi fiocchi.
“I musicisti dovrebbero supportarsi di più andando a vedere più concerti”
Verissimo, e dovrebbero supportarsi di più anche nel venirsi incontro per lottare assieme contro le situazioni di ridicolizzazione musicale. Dovrebbero supportarsi di più anche nel creare circolo laddove i locali meritano, o lottare lamentandosi e cercando di far ragionare i locali che hanno evidenti problemi. Dovrebbero supportarsi di più anche smettendola con il falso buonismo dove da davanti sono tutti amici ma alle spalle si sparlano, condividendo anche le impressioni negative senza vergogna da un lato, con maggiore apertura per la critica e l’autocritica dall’altro.
“La gente va a vedere solo le band che conosce e se ne sbatte degli altri gruppi”
Vale il discorso di prima…se 9 volte su 10 sentirò del chaos, che però per la band che già conosco
è un caos di cui ho un’immagine sonora, che stimolo posso avere ad andare a vedere una band
che non conosco? A lungo termine questo porta al disinteresse generale, è improbabile che finirò
su quell’unico caso su dieci…
“I tributi e le cover band hanno monopolizzato i locali e i gestori li pagano sempre di più”
Ancora una volta il discorso si scosta ben poco dal precedente. Il pubblico conosce le cover,
partono avvantaggiati. Una coverband scarsa che si sente male sarà comunque uno spettacolo
Vi prego, riflettete davvero su quanto detto.
L’invito personale è che chi gestisce si metta davvero una mano sulla coscienza e cerchi quantomeno di offrire delle condizioni accettabili. Un locale con impianto, palco, luci e un buon backline a livello medio (quindi con un bar e un target di 100-150 ingressi) è un sogno, per quanto sarebbe davvero più facile di quanto si pensi…ma perlomeno un impianto dimensionato e qualche luce dovrebbero essere il minimo indispensabile per una venue adibita anche alla live music.
L’invito personale è che chi suona in una band di musica originale si metta una mano sulla coscienza e cerchi di amare non solo il suonare, ma anche il suonare in condizioni quantomeno decenti, senza guardare solo i 50€ a testa a fine giornata se ci sono, o addirittura solo il “wow, finalmente posso suonare anche se tra viaggio e giornata ci metto pure soldi di tasca mia”, se no veramente tanto vale pagare i 100€ del Red Devil.
L’invito personale è che chi ascolta, cerchi di venire incontro a questa schifosa realtà, descritta
davvero per filo e per segno in questo lunghissimo aritcolo, cercando di tornare a dare qualche
possibilità in più alla band originale, ascoltando con un po’ più attenzione il disco del gruppo che ci
ha consigliato questo o quest altro amico o semplicemente ben recensito online. Con un po’ più
interesse.
Quest’ultimo invito, quello al pubblico, agli ascoltatori è davvero una richiesta fatta in ginocchio.
Non ci sono solo i Nightwish, gli Iron Maiden, i Rammstein, i Metallica, gli AC/DC & co.
Il panorama, anche quello italiano, è pieno zeppo di ottime band, ma la musica nel 2017 va ascoltata diversamente.
Sono gli ascolti a farci capire cosa davvero ci piace, e la realtà la avete ogni giorno sotto ai vostri occhi, anzi, sotto alle vostre orecchie.
Bello Figo Gu fa cagare, ma riempie le discoteche perché tra un “oh, hai sentito sta merda” e l’altro, ascoltato 4-5-6 volte, tutti sanno chi è e ne memorizzate perfino le melodie.
I Nanowar funzionano alla stessa maniera, colpiscono per l’impatto e poi riempiono i locali (meritatamente vista la qualità delle esecuzioni) perché è tutto un passaparola, da anni.
Perché allora quando ascoltate una band originale, vi fermate al primo ascolto e non date una possibilità in più cercando di capire quello che state ascoltando, prima di bocciare tutto? Non sia mai che poi alla prossima data in un locale dove magari non è tutto perfetto, ma almeno non fa schifo, ci sarete anche a voi, con le canzoni che state per ascoltare già in mente, quasi come se non fossero una band originale emergente…
…non è forse vero che molte band mastodontiche le pagate anche 50€, 60€, 70€ tornando a casa delusi perché “non si sentiva mica bene”, però soddisfatti per aver sentito dal vivo le canzoni che vi aspettavate?