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Indicative: “III – Awake Existence Decline”, album ispirato ad un poema Indù

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Il ritorno discografico dei palermitani Indicative, dal titolo “III – Awake Existence Decline” (Qanat Records/Pistacho), è ispirato ad un antico poema Indù ed è un concept album hardcore potente e catartico, carico delle inquietudini esistenziali di oggi.

Un rilancio e uno sviluppo, più che un ritorno, che irrompe a quattro anni di distanza dal precedente “5 Shots // Yellow Sky” e a otto dall’eponimo album di debutto.

In “III – Awake Existence Decline” i quattro rocker palermitani lasciano vibrare tutte le inquietudini esistenziali dell’umanità di oggi, in un potente e catartico concept album narrativo di nove tracce senza soluzione di continuità, arricchite da intermezzi di noise e field recording inquieti, all’insegna di una serrata e ciclica oscillazione tra dissoluzione e redenzione. È un album in cui gli Indicative portano a maturazione le premesse che hanno modellato sonorità e storia della quasi decennale esistenza e resistenza della band nella Palermo più sotterranea, realizzando un suono in cui convivono gli umori nervosi e in presa diretta dei progenitori Hüsker Dü, il sound abrasivo e saturo di band come Shellac o Big Black, le geometrie incalzanti del progressive à la King Crimson, i concentrati di riff e le drammaturgie grunge dei Tool; il tutto è saldamente condotto a sintesi dall’istinto melodico e dall’attitudine della band a ibridare le forme, caratteristiche proprie delle musiche dell’isola da cui gli Indicative nascono.

Per compiere l’azzardo di “III – Awake Existence Decline” gli Indicative trovano la loro prima ispirazione nella Bhagavadgītā (il “Canto del Divino”), antico poema in sanscrito sacro agli induisti, teso a insegnare il valore e la storicità della condizione umana nell’esistenza del tutto.

Proprio come in un antico poema sacro, le 9 tracce di “III – awake existence decline” si sviluppano seguendo in musica il filo di una storia universale, in cui le attività degli uomini, caratterizzate dalla violenza distruttiva e autodistruttiva contro la natura delle cose e la stessa natura umana, si rivelano poco più che bagliori nel tempo dell’esistenza del tutto, finché si giunge al finale drammaticamente liberatorio, in cui le forme della natura rivelano la propria capacità di riorganizzarsi, tornando alla fluidità del caos originario malgrado l’uomo e le sue attività.

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