Non è certo una ventata di ottimismo quella che entra quando si aprono le finestre in casa Renegade. L’intero album è concepito in base ad un’idea di disfatta e rassegnazione, ben esplicato nei singoli titoli, ma anche dall’interpretazione di musica e parole.
Con “Thunders Knows No Mercy“, la band fiorentina confeziona un quarto disco destinato ai nostalgici dell’heavy metal nella sua essenza più pura e non sembra un caso che sia la Pure Steel Records a produrlo… se non altro per rimanere fedele alla “mission”!
Un tuffo nel passato che piazza nel presente i Renegade come heavy metal band per eccellenza. Merito sicuramente di un grande lavoro di studio che ha portato ogni singolo membro della band all’apice delle proprie possibilità, a partire dalla voce di Stefano Senesi, al quale deve essere riconosciuta un’indubbia capacità di immedesimazione: i brani che canta sono suoi (nel senso possessivo del termine) è come se li cantasse da sempre e questo non può che essere un tassello a favore di una band che nel bailamme generale dell’heavy riesce a spiccare comunque con la propria identità.
E’ vero, è sempre facile attribuire parte dei meriti al frontman. Nel caso dei Renegade c’è da dire che la prova corale, da un punto meramente musicale, è un’offerta su un piatto d’argento da parte di ogni singolo musicista.
Come non nominare la sei corde di Damiano Ammannati, il cui nome viene inevitabilmente offuscato dalla potenza melodica della sua chitarra. L’ensamble metallico diventa quindi quel tuono che non sa cosa sia la pietà perchè incalza e si addolcisce, si aggroviglia e ruggisce, portando l’ascoltatore nel mezzo di un vortice dal quale non si è poi così sicuri di voler uscire.
La track d’apertura, “Nobody Lives Forever” (il video) fa subito venire in mente l’headbanging “circolare” che poi diventa decisamente più “ellittico” con la successiva “The World Is Dying”: questo primo tandem è abbastanza esplicativo. Probabilmente è qui che si racchiude parte del lavoro dei Renegade versione 2014: ok il richiamo al classico, ma la contemporaneità della struttura sonora del refrain del primo pezzo e la frenesia rockeggiante intervallata da sprazzi di pura melodia nel secondo rappresentano il cuore del lavoro.
E’ chiaro che quando l’atmosfera diventa più soft i Renegade dimostrano di avere la stoffa giusta per vestire i panni di romantici rockers, nonostante il messaggio veicolato non lasci trasparire speranza alcuna: è il caso di “Into The Flame”, pezzo notevole e molto ben concepito, seppur nella sua semplicità stilistica.
“Awaiting The Storm” è “divina”… se non altro perchè richiama alla mente qualcosa del buon Ronny James… Ma i paragoni lasciano il tempo che trovano se non nella mente di chi ascolta.
Da segnalare anche “Screaming On THe Edge”, un brano complesso, caratterizzato nella parte iniziale da una sorta di black atmosferico che dimostra ancora una volta come i Renegade si siano divertiti in mini sperimentazioni sviluppate qua e là.
Chiude la release la titletrack, probabilmente la canzone che più di tutte racchiude l’energia dei Renegade.
Bene ha fatto la band a presentare al pubblico questo brano in fase di promozione dell’album: i riff di Ammannati qui la fanno da padrone e regalano alla track quel motivo per cui resta impressa nella mente. E’ davvero il manifesto della band, una sorta di biglietto da visita come a dire: i Renegade sono questo, passione per l’heavy, capacità di dosare e osare prima che tutto finisca, sempre e comunque nel nome della musica.