Con questa prima intervista vogliamo iniziare una serie di approfondimenti sulla strumentazione dei vari musicisti del panorama metal italiano, andando ad analizzare e approfondire tutti gli aspetti che contribuiscono a creare il loro sound, tutto quello che c’è di mezzo tra le loro mani e le nostre orecchie. Il primo artista che ha aderito con entusiasmo a questo progetto è Giorgio Terenziani (JT). Per rendere giustizia al suo curriculum ci vorrebbe un articolo intero, partendo dai gruppi nei quali suona o ha suonato (Arthemis, Mr. Pig, Living Theory, Absynth Aura, Killing Touch, fino ai recentissimi Ship of Theseus), passando per i marchi per cui è endorser (Ibanez, Zoom, Gallien Kruger, Galli ecc.), l’attività didattica, di registrazione, di songwrtiting, di social media management: la cosa più facile è rimandarvi al suo profilo facebook
Iniziamo con la prima interfaccia uomo-macchina: le corde
Sulle corde ti posso dire che all’inizio compravo a caso, andavo sulla economicità, perché nel bilancio globale non pensavo contassero più di tanto: poi quando ho cominciato a suonare davvero, ho iniziato a sperimentare, cambiando muta ogni cambio corde (quindi circa ogni 3 mesi) e ho capito quali erano i miei gusti. La corda è una scienza inesatta: ho notato che la stessa corda, su strumenti diversi, ha rese diverse, ha un feel diverso. Io adesso uso Galli: se le monto sullo status, sul 3G, sugli Ibanez ho rese diverse, perché la resa dipende da diversi fattori strutturali dello strumento, dalla lunghezza del ponte, ma anche da dove è posizionata la meccanica.
Primo aspetto: suono e viaggio tanto, quindi il basso sta spesso in furgone, fai il check nel pomeriggio con 72 gradi all’ombra, e suoni di sera quando ci sono le luci che scaldano ma c’è un’umidità che fa paura; di cosneguenza ho bisogno di corde che durino a lungo. Ci sono delle corde di alta qualità che vengono valutate per la brillantezza. A me non piace la brillantezza, intanto perché io le tengo un po’ bassine, quindi darebbero quell’effetto quacky (stile papera) che non mi piace, poi perché mi tolgono un po’ la formante della nota. A parte il gusto, le corde supersquillanti, quando muoiono, muoiono. Ad esempio una DR dopo un mese e mezzo di uso intenso (parliamo di 20-25 ore alla settimana), non suona più… ha una permanenza della sua brillantezza abbastanza alta, ma poi muore abbastanza in fretta. Una Galli, ma anche le Warwick serie rossa, che sono entry level, partono meno brillanti, soprattutto quelle in nichel che sono più scure, ma decadono molto molto lentamente.
Secondo aspetto è la durezza… a parte la zigrinatura, che ti da un effetto sul grip delle dita, e se non parliamo di corde lisce, non è una cosa che sinceramente ha un grande impatto sulle mie scelte, la durezza vera e propria è invece importante. Ad esempio le Rotosound, che sono molto dure, sul pizzicato sono una figata, sul tapping e sul legato perdono molto, perché ci vuole una quantità di forza per cui, se fai molto uso soprattutto del tapping, la fatica inizia a giocare un ruolo fondamentale. Nel mio caso, che ne abuso, farei troppo fatica e sarei obbligato a trovare qualche soluzione hardware, ad esempio agendo sul compressore. Con le corde troppo morbide, i problemi li hai quando accompagni, soprattutto sul Si basso, perché si spiaccicano sul manico… e quindi hai bisogno di alzare molto le tue action, con il risultato che poi lo strumento non suona per il tuo tocco. L’alternativa che ho trovato, grazie al consiglio di Roberto Fontanot, è stata giocare sulle dimensioni… Sul si basso ho messo un 135 e un 140, che sono dei pali, ma ho trovato così la giusta combinazione. Quindi alla fine uso il 40 al canto, poi 65, 85, 105 il Si lo cambio a seconda di quello che devo fare: se devo registrare 135\140, in casi normali 130, però mai 125, che sarebbe la classica corda per questa muta.
Ok, veniamo adesso a quello che c’è sotto le corde: lo strumento
Partiamo dall’inizio… ho cominciato con Status, che è una via di mezzo tra liuteria e prodotto industriale (i suoi bassi hanno alcune parti in fibra di carbonio fatte quindi a controllo numerico): il mio playing è stato determinato dalle caratteristiche di quel basso, che ho sempre ricercato anche in futuro. Doppio Humbucker, per poter cambiare tra manico e ponte, che è una feature che uso molto, grande trazione sul timbro medioso e un manico piccolo e comodo. A un certo punto, a livello business, è venuta la necessità di avere altre collaborazioni: avevo già l’endorsement Galli, l’endorsement Zoom, stavo parlando con Gallien Kruger, mi serviva qualcosa sullo strumento, che è la mia interfaccia primaria, dove veramente ci metto la faccia. La liuteria 3G è capitata quasi per caso, perché essendo a Modena, facevo cambiare le corde a loro, facevo i setup, quindi abbiamo iniziato a lavorare insieme su un progetto, il Phoenix: sua è la forma, mio per quanto riguarda il manico, che è asimmetrico, e abbiamo preso come “stampo” proprio lo Status, migliorandone alcune caratteristiche. Poi ho provato lo sniper, sempre 3G, e l’ho amato: tra l’altro è un headless che, se me l’avessi chiesto un momento prima, ti avrei detto ”No, gli headless fanno c****are”; una volta avuto in mano è stato folgorante. Dopodiché arriviamo al NAMM 2017 e guardandomi un po’ in giro perché comunque mi piaceva l’idea di passare da un marchio di liuteria a un corporate, perché con Gallien Kruger, ad esempio, mi stavo trovando davvero bene, a livello di azienda, di presenza sui social, unito al fatto che 3G stava u po’ uscendo dal mercato dello strumento per andare verso la riparazione, l’assistenza e il custom shop, e io sentivo che avere un marchio dietro che “spingesse”, iniziava ad essere molto importante.
Avevo avuto contatti con Washburn, con Spector, ma non mi trovavo bene. Gli strumenti erano sicuramente di qualità, anche perché adesso, per trovare uno strumento che suona male, anche di fascia bassa, ci vuole proprio sfiga, ma con gli Ibanez mi trovavo proprio bene, insomma, con le mie mani stava proprio bene.
Io son sempre stato contrario (essendo uno smanettone nerd) all’equalizzatore a tre vie: avendo provato Ibanez fino a 3-4 anni fa, che avevano anche il selettore che seleziona la curva dei medi, quindi medio alti e medio bassi, non mi piaceva per niente, nessuna delle due impostazioni. O divetanava un suono super a “V” da metallaro con il plettro alla Lamb of God, o diventava veramente chiarissimo… in entrambi i casi, accoppiati ai pickup bartolini, non riuscivo a tirar fuori quello che volevo… Gran manico, gran strumento, ma sul timbro non c’eravamo. Poi hanno iniziato a fare i modelli con i Nosrdstard, ci siamo risentiti, ho fatto sentire qual’era il mio suono e ho chiesto di farmi provare quali, secondo loro, sarebbero potuti andare bene per me, indipendentmente da tutto, legni, costi ecc. ecc. Ho provato i btb, gli sr, e, alla fine, mi sono innamorato di questi due: SR1805 e SR1305
Quindi l’unione di un manico che a me è sempre piaciuto, con dei pickup a 3 vie e non 2, molto più mediosi: quando hai un suono del genere, tra l’altro,è molto più facile lavorarci sopra, per adattarlo a diverse esigenze. La collaborazione è nata così, poi c’è anche tutto il resto, l’azienda ecc. ma la cosa fondamentale è stato il feeling con lo strumento.
Quindi alla fine, live uso il 1805, su cui ho fatto montare i led, che è un attimino più scuro, mentre in studio uso l’altro che, essendo un po’ più chiaro, è più lavorabile.
Da non sottovalutare anche il look: oltre al fatto che ti deve piacere, per un dicorso di foto, di immagine, deve “quadrare” con quello che fai e quello che sei; ad esempio, essendo io un titano di 1 metro e settanta per 59 Kg, viene a vantaggio anche il fatto che gli Ibanez siano abbastanza piccoli, oltre che leggeri… il Phoenix 3G, basso comunque della madonna, pesa 5,9 Kg (e ha una paletta enorme): rispetto ai 3,5 di un Ibanez, si sente!
Sperimentazioni: fretless e multiscala, che considerazioni puoi fare?
Provati entrambi. Fretless ho avuto anche un Cort: mi affascina molto, però ci vuole tempo per padroneggiarlo. Non utilizzandolo per lavoro, studio o live che sia, non avrei abbastanza tempo da dedicargli. Mi piace molto il suono tipo fretless che riesco a ottenere con questa tipologia di bassi, con il pickup al ponte, gli alti chiusi e le medio basse un po’ boostate. Se ascolti “One of a kind” dei Killing Touch e “If I fall” degli Arthemis, quella sonorità li la uso. Che poi è quella che ottieni quasi quando usi un fretless nel rock (vedi Tony Franlyn), e lo intoni e lo comprimi.
Per quanto riguarda i multiscala, mi piace tantissimo il progetto perché una tastiera di questo genere permette alle note di essere più intonate, però lo trovo un po’ troppo lungo e faticoso, soprattutto con un’impostazione classica. Ma la cosa che per me è veramente “La Morte” sono i pickup in diagonale, perché io seguo i pickup per evitare che cambi il timbro. Ci sono multiscala con pickup dritti, però perde un po’ il senso del progetto. Altra cosa che un po’ da fastidio è che è molto sensibile al vibrato, si fa in fretta a stonare. Alla fine vale lo stesso discorso del fretless, bisognerebbe dedicarci tanto tempo, ma in questo caso occorre cambiare anche impostazione e automatismi. Alla fine, lo vedo più come una soluzione da studio, per avere una maggiore qualità e intonazione
Qual è la componente che ritieni più importante nella costruzione della timbrica?
Domanda difficile… ad esempio, io non ho mai dato importanza ai legni. Se mi fai un blind test, io non riconosco il legno… in generale, io do un idea di timbro e di suono e l’esperto di fronte a me la trasforma negli ingredienti giusti. Poi chiaramente, con l’esperienza, un’idea te la fai: ad esempio lo so che una tastiera in ebano ha una risposta più veloce di una tastiera in acero. Ho sempre dato molto peso ai pickup, non tanto al marchio quanto alla risposta. In realtà faccio un po’ fatica a parlarti di costruzione del timbro, preferisco dirti cosa per me è importante: un attacco veloce, una buona resa e presenza delle medie (poi al massimo le tolgo, ma non voglio aggiungerle posticce) e un filo di compressione direttamente sullo strumento, quindi parliamo di uno strumento attivo. Ce l’hai generalmente sull’humbacker che, avendo le due bobine avvolte al contrario, un filo comprime anche se lo stesso effetto lo hai sui big single, tipo nordstrand, che sono singoli, quindi con un filo più di dinamica, ma con la filosofia humbacker. Anche la doppia configurazione, quella PJ per intenderci, è più da dinamica: se ti piace la dinamica, quella è la scelta giusta. Io tutta quella dinamica non la voglio.
L’attacco veloce dipende principalmente da tastiera e top, ma a me interessa l’attacco veloce, poi con quale combinazione di top e manico lo ottieni, mi è indifferente.
Altra scelta che personalmente faccio, anche se non riguarda propriamente il timbro, è il bolt-on… se tenuto bene, un necktrough o un incollato hanno qualcosa in più, ma con la vita che faccio, sempre in giro e quindi con lo strumento esposto ad escursioni termiche, ho bisogno di poterlo sistemare in fretta e in questo caso la possibilità di agire facilmente sul trussroad è fondamentale… sui 3g ad esempio, ho sempre richiesto il doppio trussroad perché droppo, quindi il mi e il si che diventano un re e un la, vanno leggermente tirati mentre le altre restano come sono… con gli Ibanez a un solo trussroad, quando droppo, devo andare a lavorare sulle sellette.
Dopo il basso, c’è il cavo… cavi da 5 euro al metro o cavi da 30 euro al metro, c’è differenza? O è leggenda?
Live, la differenza la fanno se hai delle grosse pedaliere analogiche: la qualità del cavo si sente, perché hai delle dispersioni si segnale, dei ronzii, il locale ti ha attaccato all’impianto frigo… li il cavo qualitativo ti salva. Se parliamo di sistemi basso\ampli, o pedaliera digitale, allora non da alcun valore aggiunto… magari se suoni un precision pulito in un contesto fusion, un po’ di differenza sulla dinamica puoi anche sentirla, ma è quasi impercettibile.
In studio, in diretta sul preamplificatore, invece, la qualità la senti molto. Se guardi con uno spettrometro quello che hai acquisito, vedi che, rispetto a un cavo budget, ha un po’ meno volume, meno bassi e meno alti e più dinamica… per intenderci, se cambio pickup o eq, noto una differenza maggiore. Il cavo, ma in genere l’equipaggiamento di qualità, ti da un valore aggiunto soprattutto quando vai a ritoccare quello che registri. Se io entro diretto con lo zoom nella scheda audio, il suono va bene… finché non lo tocco. Se però so che avrò necessità di andare a lavorarci sopra, perché, ad esempio, non so ancora come sarà la batteria, vado diretto nel pre, con un cavo buono, e poi magari re-ampo dallo zoom, ma dopo.
Tornando al solito concetto… blind test, la differenza la senti? Se non la senti, chissenefrega! Chiariamoci, non “si” sente, ma “la” senti, nel senso che ci si può allenare: c’è gente che lavora in studio 8 ore al giorno ed è talmente allenata da sentire anche solo c’è un plugin in catena effetti, senza che stia suonando nulla.
Prendi i Blink 182, l’album dopo Aenema of the State, quando avevano budget infinito… hanno provato cavi diversi per ogni take… intendiamoci, ai Blink fregava poco, era lo studio, che avendone la possibilità, si è fatto tutti gli esperimenti possibili… Considera che la line 6, nei nuovi modelli di wireless, fa i simulatori di cavi…
Arriviamo all’argomento effetti. Prima questione: pedalini o multieffetto?
Noi parliamo sempre di effetti, ma più correttamente occorrerebbe distinguere tra processori ed effetti: i processori, che stanno tra basso e ampli, ti “cambiano” il suono: sono compressore, distorsore, Eq; gli effetti, cioè tutte le modulazioni come reverbero, delay ecc., dovrebbero stare nel send\return. Il chorus, il flanger, i rotary, stanno un po’ in mezzo, li puoi usare da una parte o dall’altra. Nella storia, si è spesso violata questa regola creando grandi suoni, penso ad esempio ai Pink Floyd o ai Muse. In particolare, per il basso, testate che suonino bene in send\return, non ne conosco… quindi su usa tutto davanti, un po’ come i i chitarristi anni 90, tipo Slash.
Nel mio caso io uso Zoom, quindi scelta digitale, da sempre: penso di non aver mai comprato spontaneamente un pedale analogico. Questo perché io fin da subito ho suonato in una band che faceva il vero 360, quindi Liftiba, Dream theater, Ligabue, Extreme, Morcheeba, Iron Maiden. Avevo bisogno di tante cose: lo stesso suono con più bassi e meno bassi, 2dB in più o in meno, il distorto per le parti soliste, il pulito con il delay per un’intro, e da ventenne mediamente squattrinato, la scelta obbligata è stata il multieffetto…. se avessi dovuto comprare chorus, reverb\delay, A\B box, buffer, pedaliera, distorsioni, compressore, un eq, un booster, cavi buoni come dicevamo prima… fai presto ad arrivare a 2000\2100 euro. Ha senso? Per me no, anche e soprattutto perché non sento la differenza.
Poi, io sono schierato: per Zoom io ho fatto i tracciamenti, mi hanno mandato gli mxr, il multicomp, il dynacomp, il sansamp… quindi reamping con uno splitter, registri in scheda audio senza niente, poi esci da cannon a jack per rimettere l’impedenza e ho fatto le registrazioni con testata\cassa, tracciando sempre 6 suoni: diretta della testata, microfoni sui coni, microfono ambientale e pre valvolare. Esperienza quindi ne ho e posso dirti: sulle simulazioni dei pedali siamo molto vicini agli originali, sulle testate no. Sui pedali digitali hai un po’ meno dinamica e il pedale vero, quando lo vai lavorare in post, risponde meglio. Quando concateni da tre o più suoni, il risultato è apprezzabilmente diverso, perché, evidentemente, non ci sono la corrente elettrica e i cavi. Da insegnate, quello che dico agli allievi è di non aspettarsi grandi cose dai simulatori di ampli, perché ti simulano l’ampli già amplificato: non hai per nulla il feel di un amplificatore e anche i controlli non sono particolarmente accurati. Sicuramente una scelta sul multieffetto è quantomeno quella giusta per il pedale che non ti serve… o meglio, se mi dici che il distorto del darkglass è il tuo, va bene, prendilo, ma poi compressore, reverb, eq, che non sono fondamentali per te, se li hai su un multieffetto, ti rendono comunque più versatile.
Live e studio: stessa strumentazione?
Si al 90%. Si perché quando prendo il dritto per un suono voglio usare quello e apprezzare le sfumature di quel suono. Live io ho due setup, che si differenziano solo se porto o meno la cassa. Diciamo che per un bassista è abbastanza facile, perché in genere ti prendono direttamente dalla DI della testata. Con i Mr Pig porto la cassa, perché ci piace essere più diretti, suoniamo senza click, ci piace sentirci sul palco e soprattutto Michele (Luppi) ama sentirsi davvero, da fuori, piuttosto che chiuso con gli in ear. Invece con i Living Theory (tribute band Linkin Park) suoniamo con gli in ear, a click, quindi risulta più pratico e qualitativo uscire direttamente nel mixer ed essere più silenziosi sul palco. Quindi ricapitolando, a parte la questione cassa, in live sempre basso, cavi, zoom e testa GK che mi porto sempre dietro, perché comunque il pre della Gallien mi piace da morire.
In studio entro dritto nel pre, salto tutto. Molto spesso registro anche i distorti con il pulito, perché voglio tenermi le mani libere, se faccio i dischi miei, voglio prima sentire la distorsione della chitarra e poi lavorare sulla mia, oppure non so ancora il suono della cassa… Il lavoro in digitale sul reamping, mi permette di adattarmi meglio ad ogni situazione e di cambiare in corso d’opera senza perdere qualità. Se vuoi non è perfettamente corretto lavorare in questo modo con un pre valvolare che ha una sua preamplificazione a monte, ma io utilizzo l’Avalon che ha un pre valvolare, ma non è un pre valvolare, è un channel strip, non è così caratteristico e invasivo come altri pre valvolari. La base del mio suono in studio è l’Avalon con l’ampeg svx dell’ik multimedia. Tengo un po’ di compressione, ma proprio un filino, per il si basso, ma non voglio sentirlo. E’ chiaramente più difficile perché sei proprio nudo, ma nella mia esperienza, quando suoni bene nudo, poi fai quello che vuoi al suono dopo. Una cosa che non faccio, è registrare la cassa, perché rallenta il transiente, ingrossa un po’ il suono, ma non la trovo giusta per quello che faccio… poi se devo fare un disco hard rock un po’ più lento, allora va bene. Ci sono fonici che registrano 3 suoni, ma perché equalizzano i suoni in maniera diversa. Altra casistica, quando registro i miei pezzi per i miei video: in quel caso entro con il mio setup live nell’Avalon, poi al massimo adatto la chitarra: chiaramente è tutta roba mia, quindi faccio il contrario, adatto il resto al mio suono!
Qual’è la tua catena di segnali?
Guarda, io ho praticamente sempre lo stesso suono, che è una filosofia di approccio… mi capita giusto di variare volume e quantità di bassi, a seconda che ci sia una tastiera, nel qual caso tolgo un paio di dB di bassi.
Pulito solo compressore ed eq, con chorus che accendo e spengo per alcune strofe. Distorto: compressore, distorsione, eq. Eq dopo perché uso una simulazione di tubescreamer Ibanez che mi toglie troppi bassi che recupero con l’eq. In realtà, adesso che posso distorco il mio pulito, quindi compressore, eq, distorsione e un altro eq a valle. Se vuoi, teoricamente è sbagliato, ma quello che ottengo mi piace, per cui, come al solito, quello che conta è il risultato finale. Poi metto un po’ di chorus nel distorto solista, poi ho un distorto con meno gain e un po’ di flanger per i suoni un po’ più particolari, ignoranti e infine un pulito con delay per qualche intro con i Killing Touch e gli Absynth Aura. Se prendi gli ultimi dieci anni, ho fatto un miliardo di esperimenti, ma alla fine mi sono discostato pochissimo da quelli che sono attualmente i miei suoni, pulito e distorto. Anche il mio ultimo prodotto, il disco con i The Ship of Theseus: inizialmente mi avevano chiamato come turnista, poi in realtà i pezzi mi piacevano molto, mi piacevano le persone, mi piaceva il mood, quindi ho chiesto di entrare in band, ma con il mio suono. Ad ogni modo, nonostante l’idea di timbrica sia sempre quella, tutto questo lavoro fatto, queste prove hanno cambiato il mio suono magari solo di un 5%-7%, è qualcosa che magari sento solo io, ma mi ha fatto crescere, in soddisfazione, in expertise che sicuramente, dopo 5-6 anni si può rivendere. Domenica mia moglie lavorava, io son stato qua a lavorare sui suoni… perché mi piace, mi fa crescere, se vuoi è anche una sorta di rispetto verso il pubblico.
Proseguendo geograficamente lungo il rig, arriviamo all’argomento testata\cassa
Da 5 o 6 anni uso GK, versione MB. Ma partiamo da prima: io nasco con Ampeg, la SVT3 pro, quella americana che ancora oggi mi piace da morire… anche nei plugin uso SVx, la Sv4 perché la 3 non c’è, ma siamo molto vicini. Nel tempo, provando varie testate, ho capito che mi piacciono quelle con il gain un po’ allegro, quindi che satura se lo tiro un po’ su, che abbiano buone medie, un buon attacco e un filo di compressione quado alzi il gain. Quando faccio un reamping o quando provo qualcosa, è il mio ampli di riferimento.. E’ un0istituzione: se sei un produttore di bassi, non puoi non provare i tuoi prodotti su Ampeg e su Markbass, perché sono i due mondi di riferimento; così come se sei un produttore di ampli non puoi non provare Fender, Musicman, Warwick, Ibanez. Poi sono passato a Cicognani, quando è è passato a fbt, semplicemente perché ero in cerca di endorsement, fbt mi aveva fatto una buona offerta e con guglielmo abbiamo sviluppato in parte insieme la Indie 400, che era un SVT3+SVT4, o meglio una svt3 con il compressore, ma un po’ più trasparente. Praticamente un prodotto che desse quella idea di timbro ma funzionasse come da manuale, a differenza di Ampeg che ha un po’ il concetto di Gibson: “suona bene, ma non chiederti perché”. Ha un attacco più veloce di Ampeg, ha il gain più violento… per come suonavo io, sia status che 3G, era perfetta, con la sua cassa. A questo proposito, a differenza che per la chitarra, trovo che l’accoppiata testata\cassa dello stesso marchio funzioni sempre meglio rispetto a combinazioni di marche diverse. Poi cicognani non ha più lavorato con FBT, non c’era più supporto da parte dell’azienda, quindi ho iniziato a guardarmi in giro proprio quando iniziavano a uscire le miniaturizzate. E qui arriviamo a Gallien Kruger… i modelli standard a transistor non mi sono mai piaciuti, troppo violenti, troppo attacco, troppi medi alti. Penso che da plettro sia un mix perfetto, ma non fa per me. Poi sono andato da loro a provare quello che avevano, avevo già provato quelli motorizzati, che già mi avevano fatto una buona impressione. Poi ho provato la serie MB, e ho trovato la mia testata. La mia risposta è proprio stata “cazzo, si!”, ha in pre le solite 3 AXT, un finale in classe D che quindi performa da subito, cosa che mi dava un po’ fastidio di Ampeg e Fbt che avevano finali che avevano bisogno di un po’ di watt. Questa cosa mi aiuta ad esempio, nei Mr Pig: con loro sul palco, senza in ear, suoniamo molto basso, al netto di quanto pesta il batterista, perché vogliamo sentire fuori. E in questo una testata che funzioni perfettamente anche a wattaggi bassi è fondamentale. In più è piccola, non pesa niente. Ho fatto un po’ fatica con l’eq della GK perché è diverso da tutti gli altri: normalmente un equalizzatore ti da e ti toglie, l’eq Gallien è più un’altalena, quindi quando tu alzi in un punto, lui ti abbassa nel punto prima o nel punto dopo. Ad esempio, se io voglio le medio basse, con GK, tolgo le medio alte. Comoda l’idea dei due canali nella testatina, con il suo switch, uno pulitissimo e una un pochino distorto, alla qotsa. Nei live è come portarsi una DI di altissima qualità, e fa la differenza: rispetto allo zoom che è piatto e ha un attacco bellissimo, ma quasi fastidioso, avere quello come DI in mezzo, è come avere la cassa. Se suoni in un locale medio grande, la cassa è la tua spia, ma fuori sentono quello che esce dalla DI. Poi ti dirò, nella mia catena di segnale, l’ampli è forse la cosa che conta un po’ meno, non mi sposta grandi equilibri nella pratica.
Riguardo al discorso casse, alla fine, ho optato per una scelta modulare, quindi una 2×12 e una 1×15, tweeter separato regolabile (corde nuove tweeter a zero, corde vecchie alza il tweeter); ho fatto un po’ fatica all’inizio con le casse in neodimio, per poi capire che in studio non mi piacciono, ma live hanno un vantaggio enorme: se pensi all’espansione del suono di una cassa, un cono di cartone, apre quasi 180°: quindi se hai la batteria di fianco, se sei in un locale piccolo, fai risuonare il rullante, centri lo spettro del microfono del cantante. Il neodimio ha un angolo molto più ristretto, in live è molto più facile da usare. Attacco più veloce, bisogna gestire un po’ gli alti, per questo ho scelto una cassa con il cono da 12 perché è un po’ meno violenta. Diciamo che passando al neodimio, le 4 coni non mi piacciono più… Il mercato sta andando li, se pensi a un mixer della Midas, serie M, sono mixer che funzionano meglio se gli entri dentro in digitale… fra qualche anno la norma sarà un silent stage, e la “roba digitale” suonerà peggio, perché i dispositivi di riproduzione non saranno più tarati per quello. Infatti alcune grandi band chiedono “no digital”… ma non è una fissa, è perché il digitale sta andando verso il premiare chi suona silent… quindi AXE, Kemper ecc. ecc.
In effetti si vedono in giro sempre più spesso testate molto trasparenti, tipo GR.
Ti dirò, GR non l’ho mai provata molto bene, però è sicuramente in quella filosofia li… è quasi una DI di buona qualità con l’eq. A me, se devo avere una testata, mi piace che abbia un po’ di gain con del carattere, perché quel caldino che mi da mi piace… altrimenti, a questo punto, potendo scegliere, mi prendo una DI a valvole. Sempre restando in GR, fanno anche la serie pureamp, che è solo un finale: perfettamente nella loro filosofia, che è vincente: io faccio solo quello (nel caso specifico, cerco la trasparenza) e lo faccio al top.
E’ comunque un momento difficile per le testate e le casse, e lo vedi dal fatto che se ti compri una accoppiata mesa da 3000 euro, la rivendi si e no a 1200. Fino a 5 anni fa, mesa, GK e i marchi storici erano un assegno circolare, ci perdevi l’iva. Oggi l’unica cosa che non perde valore sono gli strumenti storici, che non prendi per il suono, o i preamplificatori da studio.
In quale campo, tra tutti quelli che abbiamo toccato, pensi ci possa essere più innovazione nei prossimi anni?
Secondo me l’innovazione riguarderà una sempre più massiccia digitalizzazione e chi avrà e saprà utilizzare strumentazione analogica acquisirà sempre più valore… in realtà si torna indietro da questo punto di vista: il megastudio costerà sempre di più, come quando abbiamo iniziato noi, e fare un disco costerà (e costava) una barca di soldi, se ti servirà qualcosa di analogico. Si perderà la quotidianità, la dimestichezza diffusa con i prodotti analogici, quindi non ti basterà più comprarla, dovrai “comprare” anche qualcuno che la sappia far funzionare bene. Ricordiamoci che quello che registri in analogico, non è bello… ha delle potenzialità infinite, e tu pagherai qualcuno che te le saprà tirare fuori. Ci sarà sempre più differenza fra qualità e velocità. Dal punto di vista del musicista, la cosa che sarà sempre più fondamentale sono i social, o comunque il mondo online, che non vuol dire registrare un video e pubblicarlo, vuol dire sapere come funzionano le piattaforme di advertising, come posizionarsi nel mercato ecc.: saranno skills che diventeranno fondamentali.
Io in realtà sono in mezzo… sono affascinato dal mondo digitale, ma ho una strumentazione e un know how sull’analogico che non devo lasciar scappare.