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Black Winter Fest: Il live report della XIIª Edizione

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Primo freddo, prime nebbie ed è immancabilmente…. BLACK WINTER Festival!!
Dodicesima edizione per l’ormai consolidato appuntamento di fine autunno per gli amanti del Metal Estremo. Sabato 30 novembre ore 14.00 in punto si parte, direzione Campus Industry in quel di Parma, dove ci aspettano 8 ore di musica per un totale di 9 bands provenienti da Italia e ovviamente da oltre confine, Norvegia in testa. Andiamo al sodo:

Arriviamo al Campus e notiamo subito che i parcheggi sono tutt’altro che gremiti ma giustifichiamo ovviamente la cosa con “E’ ancora presto, dopo la gente arriverà…”, sarà vero? Parcheggiata la macchina entriamo sulle note di apertura dello show degli italiani SHADOWTHRONE che hanno il compito di fare da apripista alla giornata: i nostri, freschi della pubblicazione del loro secondo disco “Elements Blackest Legacy” vengono a mio avviso penalizzati da dei suoni non perfetti ma che non scalfiscono affatto la grinta e la determinazione messe in campo: i richiami stilistici e le influenze di Emperor e certi Dissection non tardano ad emergere.

Scorrono veloci i 30 minuti a disposizione della band e in un batter d’occhio ci ritroviamo davanti ai norvegesi DJEVELKULT per godere della loro prima italiana di sempre. Il quartetto sfoggia una performance convincente, una resa comunque buona nonostante anche questo set venga penalizzato da un mix suoni non ottimale (cassa della batteria troppo alta e voce leggermente indietro rispetto al resto). Altra pecca, a mio avviso, un cantato piatto e monotono che non enfatizza a pieno la grinta e la forza che caratterizzano le parti suonate, andando a stancare in fretta l’ascoltatore. Si sente e si vede, anche a livello scenico, che la band deve ancora maturare e far fruttare a pieno un potenziale che è comunque evidente.

Primo cambio palco: da segnalare che tutti gli intermezzi sono caratterizzati sempre dalla presenza di un telo nero ad effetto sipario per nascondere agli spettatori le fasi di cambio strumentazione e sound check quasi a voler creare una sorta di effetto sorpresa: sinceramente non ne ho capito la reale utilità. Boh! Sfruttiamo la tregua sonora facendo un giro veloce tra gli immancabili banchetti merch sempre presenti con vinili, cd, maglie, rarità e tutto quello un vero amante dello shopping metal può apprezzare. Su il volume ed è il tempo dei nostrani IMAGO MORTIS messi in scaletta dopo la dipartita degli Handful of Hate. I nostri, attivi dal lontano 1994 arrivano al BlackWinter con l’intenzione di convincere: ci riescono in modo ottimale. Sul palco Gibson Flying V e testata ENGL sono la chiave per un suono di chitarra tagliente dalle tinte “vecchia scuola”, cantato in italiano potente e soprattutto molto suggestivo, niente face painting o fronzoli scenografici per uno show votato rigorosamente alla concretezza. All’urlo de “La Morte Nera…” gli Imago ci ricordano a momenti i Bathory di “Blood Fire Death” pur mantenendo sempre un’impronta molto personale senza mai strafare. La setlist corre veloce e la band dopo 30 minuti di mazzate saluta il pubblico visibilmente soddisfatto con un “Condoglianze dagli Imago Mortis”. Saranno una delle band rivelazione della giornata.
Torando a parlare di pubblico: audience soddisfatto ma ancora un’affluenza non all’altezza delle mie personali aspettative e comunque non all’altezza dell’edizione dello scorso anno. Vedremo come andrà via via la giornata…

Il tempo scorre tiranno ed è il momento dei SELVANS, a mio avviso una delle band imperdibili. Le aspettative sono alte, grazie o per colpa, dello stra-apprezzato e stra-ascoltato “Faunalia” del 2018, loro ultimo disco. L’attesa non viene assolutamente tradita: un black metal vigoroso e possente a tinte Taake/Kampfar con melodie disegnate ad arte alternate a quintali di grinta vomitata sulla platea. Grandiosi. Questi Selvans, con un Haruspex in stato di grazia totale, non sfigurerebbero nemmeno al cospetto dei mostri sacri del genere anche, come oggi, con un mix non al top che purtroppo penalizza una delle due chitarre: dettaglio questo che non andrà a scalfire in nessun modo lo spessore e la solidità di una prova letteralmente magistrale, goduta e passata talmente velocemente da dare quasi l’impressione di essere stata tagliata. Da segnalare anche una stra-riuscita “Sadomasochistic” dei Carpathian Forest a coronamento di uno show che si piazzerà tra i più riusciti del festival.
Dalla Norvegia all’ Italia per arrivare giù fino alla Grecia: è il momento dei LUCIFER’S CHILD. Gli ellenici con alle spalle due dischi, l’ultimo in ordine di tempo è “The Order” uscito su Agonia Records nel 2018, puntano su una scenografia caratterizzata da imponenti drappi che la fanno da padroni sul palco, su suoni mastodontici e su una grinta degna dei migliori…Machine Head!! (è uno scherzetto si…ma effettivamente la pazzesca somiglianza di Marios Dupont al cantante della band americana ha fatto sì che mi venisse ripetuto a più riprese da chi mi ha accompagnato “Questo è il Rob Flynn del Black Metal!!). Con un black che mi ha ricordato molto i Watain e per alcune soluzioni i loro connazionali Rotting Christ, i Lucifer’s sono la band che mi ha più impressionato positivamente, grazie ad uno show ineccepibile dal punto di vista esecutivo ma soprattutto grazie un’attitudine estremamente coinvolgente (i più maliziosi e intransigenti potrebbero pure definirla “marchettara”) che ha finalmente smosso il pubblico, fino a lì decisamente troppo poco partecipativo. Band assolutamente da tenere sott’occhio!!!!

L’afflusso di gente, di poca entità ma continuo, fa si che la sala cominci a risultare gremita in coincidenza dello spettacolo dei Norvegesi MORK, band che in disco non ho troppo seguito ma che voglio mettere alla prova sotto l’aspetto live. Il trio Norvegese volta pagina con un black metal di stampo decisamente più scarno e ruvido: freschi della pubblicazione dell’album “Det Svarte Juv”, i nostri non riescono però ad eguagliare in convinzione e resa generale chi li ha preceduti. Segni distintivi del loro show: le atmosfere decisamente più fredde, un approccio meno coinvolgente, più distaccato, il cantato per buona parte in clean e, purtroppo, la “botta” che non sembra uscire dal palco. La band, che a tratti mi ricorda Burzum piuttosto che certi Darkthrone, nonostante una presenza scenica convincente, rigorosamente supportata da pesante face painting, non riesce nell’intento di convincere una platea che è appena stata investita da un treno impazzito, nonché metro di giudizio inevitabile, di nome Lucifer’s Child. Devo essere sincero: show sul quale probabilmente avevo riposto troppe aspettative, risultato per me deludente. Devo segnalare una frase che mi è stata detta a riguardo dei Mork: “E’ decisamente una vergogna che la Peaceville metta sotto contratto band del genere lasciandosene scappare altre che potrebbero dir la loro in maniera anche migliore…”. Ho sposato questa tesi e in effetti si sa, il paese di provenienza aiuta spesso certe band e ne penalizza altre. Peccato ovviamente.

Tempo di una birra, una chiacchera e un po’ di saluti a vecchi amici ritrovati in loco e si arriva alla prima cartuccia della top 3 di serata: KAMPFAR. Attesi e osannati da una folta platea, Dolk e soci entrano in scena per portare a casa il risultato. Capitanati da un frontman con la F maiuscola, con un cantato grintoso, trascinante, viscerale e dall’indubbio fascino teatrale, i Kampfar non lasciano spazio a dubbi, scegliendo perle da tutta la discografia e sparando vere e proprie cannonate su un pubblico in visibilio. Suoni impeccabili di chitarra, una batteria che è devastante, un volume adatto alla potenza delle canzoni fanno da cornice a quella che sarà certamente una delle migliori esibizioni della giornata. I cori del pubblico sulle note di “Tornekratt” segnano un concerto che volge al termine e che sembra, nonostante la generosità qualitativa, non aver a pieno saziato la fame di Kampfar dei presenti che palesemente ne vorrebbero ancora. Sarà sicuramente per la prossima.

Si passa alla seconda cartuccia: è il turno dei 1349 e di un annunciato “Special Headliner Show”, cosa vorrà mai dire?? Me lo chiedo tutt’ora, visto che lo show dei norvegesi a mio avviso non è stato nulla che potesse essere etichettato come speciale, mi spiego meglio: qui non si discute sulla convinzione e sulla grinta dei musicisti, piuttosto sui contenuti. I norvegesi scendono in campo sciabolando il loro Black Metal senza compromessi, senza un attimo di respiro, quasi a voler mettere alla prova la resistenza del pubblico. Frost dietro alle pelli è una mitraglia impazzita, grintoso e potente a tal punto da risultare un problema per la resa sonora generale: suoni che, con una batteria spesso e volentieri al di sopra del resto, purtroppo risulteranno essere impastati, confusionari e poco definiti. Mi viene in mente un famoso spot che recita “La potenza è nulla senza controllo”, ecco: mai come in questo caso cosa fu più rappresentativa. Non riesco ad arrivare a fine concerto, mi concedo (e come me molti altri) una birra e una boccata d’aria prima del gran finale, consapevole che tanto ci sarà la possibilità di rivederli a inizio 2020 nel tour già annunciato con Abbath e Vltimas…..magari ci andrà meglio.

Ultima band, ultime forze. Eh si, le batterie cominciano a scaricarsi, ma imperterriti stringiamo i denti e teniamo duro per godere di melodie che sono entrate nella leggenda: gli Hellhammer scenderanno in campo, rievocati dal loro leader storico Tom G. Warrior capitano dei TRIUMPH OF DEATH!!! Oltre a lui nel ruolo di chitarrista cantante, la band assolda alla seconda chitarra Andrè Matieu (già con Punish e Unlight), al basso Mia Wallace (Abbath, Niryth, Kirlian Camera) e alle pelli Alessandro Comerio (mastermind degli Hiems e bassista nei Forgotten Tomb), per quello che vuole essere un vero e proprio tributo a una musica che ha influenzato in maniera decisa e indelebile la nascita e lo sviluppo del metal estremo. Ovviamente via a una carrellata di gran classici da Decapitor a Crucifixion, passando per Reaper, Buried and Forgotten e una Visions of Mortality dei Celtic Frost come ciliegina su una torta confezionata benissimo, con la giusta grinta e la voglia di divertire e divertirsi. Pubblico che si lascia trasportare, nonostante l’ora e le forze spese, gettando il cuore oltre l’ostacolo, lasciandosi andare a una festa a colpi di “Uh!!” (marchio di fabbrica del grande Tom) e un moshpit violento e infuocato. Con quei riff non può esserci altro. Un’ora di massacro volata e in batter d’occhio si è già ai saluti finali a alle corna al cielo…il Blackwinter è finito!!!

Come sempre festival ben organizzato, ritrovo fisso per gli amanti del genere, risultato anche quest’anno soddisfacente dal punto di vista dei contenuti ma che ricorderò tra le altre cose per la minore affluenza rispetto agli anni passati, non capendone tuttavia il perché (non che mancasse la qualità!!). Sfatti e provati ci avviamo verso l’uscita per l’immancabile giro saluti prima di risalire in macchina verso le due ore di strada, di musica e di chiacchere che ci dividono dal letto. Al prossimo anno, magari più numerosi.
Horns up.

Mirko Marchesini