Home Interviste Konoha: “L’idea di fare questo progetto Screamo implicava il cantato in italiano”

Konoha: “L’idea di fare questo progetto Screamo implicava il cantato in italiano”

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Domenica 3 novembre, in felpina leggera e con il sole negli occhi ci troviamo per una breve intervista davanti allo Stella Nera di Modena, prima dell’inizio del live, con tre membri dei Konoha: Vittorio Corazzari (voce), Stefano Pacetti (basso) e Ivan Borsari (batteria)

Iniziamo con il presentare il gruppo: chi sono i Konoha?

Vittorio: Se dobbiamo partire dalle basi, andiamo molto indietro nel tempo. Questo progetto nasce da un’idea mia e di Tan, uno dei due chitarristi, molto prima del Covid. Avevamo un altro nome in mente inizialmente, poi per diverse ragioni abbiamo avuto qualche interruzione, e poi c’è stato il Covid. Dopo questo periodo, siamo entrati in contatto con Ste, il bassista, che è entrato nella band. Abbiamo ricominciato a provare con lui e, nel frattempo, si sono aggiunti Fulvio Romiti, seconda chitarra, e Ivan Borsari come batterista. Ad oggi siamo qui con un EP appena uscito e qualche live alle spalle.

Il nome ha una genesi particolare?

Vittorio: Sì, è nato da un insieme di fattori, che includono la passione mia e di Tan per tutto il mondo giapponese. Poi c’è un po’ di effetto nostalgia perché siamo entrambi cresciuti con Naruto. Mi è venuto in mente in maniera molto spontanea e genuina questo nome perché mi è sempre piaciuto come suonava, e alla fine è piaciuto a tutti. Così abbiamo deciso di tenerlo e da lì abbiamo continuato.

Venite da esperienze precedenti diverse o avete sempre fatto questo genere?

Vittorio: Io personalmente ho avuto un’esperienza precedente in un’altra band intorno al 2015-2016. Era una band prog metal, djent. Cantavo in quel gruppo, abbiamo fatto un primo EP insieme, poi sono uscito per divergenze di gusti. Tan non ha avuto altre esperienze significative, mentre Fulvio ha suonato in diverse band, tra cui gli At the Sundawn e Ivan ha suonato in molte band modenesi e adesso suona anche nei Vadva, progetto prog strumentale. Stefano: Io sono nato in un gruppo pop punk a 16 anni, ma quel progetto è finito male e ora fanno trap punk.

Come è nato il vostro EP? Chi compone i pezzi?

Vittorio: I pezzi nascono nella maniera più genuina possibile. Gran parte dei pezzi sono stati scritti prima del consolidamento dell’attuale formazione: con l’entrata di Fulvio, c’è stato un rework dei pezzi già esistenti, con una notevole crescita e maturazione. Io mi occupo della parte dei testi, mentre la parte strumentale è molto democratica e cooperativa, con tutti che contribuiscono.

Ci sono delle tematiche ricorrenti nei testi?

Vittorio: Nei testi parlo di un processo di maturazione a livello mentale, un percorso che ha riguardato me nello specifico. Parlo di trovare il proprio posto nel mondo, partendo da una situazione di sconforto fino a una presa di consapevolezza. Non è stato pensato come un concept album, ma inevitabilmente è venuto fuori così.

La scelta del cantato in italiano è stilistica o comunicativa?

Vittorio: Non abbiamo mai considerato seriamente l’idea di cantare in un’altra lingua. L’idea di fare questo progetto screamo implicava il cantato in italiano. L’Italia ha una certa storia con questo genere musicale. Non escludiamo in futuro di integrare una seconda lingua, ma per ora continueremo principalmente in italiano.

L’EP è stato autoprodotto o vi siete appoggiati a qualche realtà professionale?

Vittorio: Per la produzione abbiamo coinvolto diverse persone, tra cui Luca Bonfiglioli per la parte strumentale e Federico Ascari per la voce. La batteria e gli strumenti li abbiamo registrati alla Tenda, mentre il mix e il master sono stati curati da Ietto dei Radura e degli Ojne.

Come state gestendo la parte promozionale e live?

Stefano: Per la promozione, abbiamo trovato diverse etichette italiane e internazionali che hanno apprezzato il nostro lavoro. Abbiamo coperto diverse aree, inclusi Stati Uniti, Germania e Turchia. Non c’è un vero e proprio lavoro di promozione per i live. Essendo attivi nella scena e conoscendo diverse realtà, le date ci sono capitate. Molti di noi fanno parte di Warm Room Collective, quindi c’è uno scambio di favori tra band per suonare nelle rispettive città.

Qual è il riscontro del pubblico?

Ivan: Il riscontro è stato positivo. L’EP è piaciuto e i numeri su Spotify sono buoni. Nei live, abbiamo visto persone cantare i nostri pezzi, il che è stato incredibile. Il genere è molto sentito e coinvolge un pubblico giovane.

Quali sono le vostre prospettive a breve e medio termine?

Stefano: Stiamo scrivendo pezzi nuovi e abbiamo qualche live previsto. Stiamo pensando di scrivere uno split che ci piacerebbe far uscire nella prima metà del 2025. La scelta di uscire con un EP è stata dettata dalla voglia di tracciare una linea con i pezzi vecchi e dare spazio al nuovo capitolo con la formazione attuale.

Perché suonate e perché bisogna ascoltarvi?

Ivan: Per me suonare è una necessità impellente, è l’unica cosa che dà un senso alla mia settimana, suonerò fino a cent’anni. Per altri membri, è una passione nata dal voler provare a fare qualcosa con i generi che ascoltiamo. Il nostro disco è molto reale, in cui uno può ritrovarsi. È un disco che prende bene, diretto e carico. Consiglio di ascoltarlo per il motivo più ovvio e sincero possibile: è un gran bel disco!

Avete fatto un supporto fisico?

Vittorio: Al momento no, ma faremo presto sia vinili che cassette!