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Bicoloured Men: “Hybrid” – Recensione

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Bicoloured Man Hybrid

Con i Bicoloured Men si ha la netta sensazione di trovarsi in piena NWOBHM, il loro album di debutto “Hybrid” è un compendio delle band più in voga negli ’80, un vero e proprio tuffo nel passato.

Chitarre arrembanti, riff taglienti ed assoli incisivi, il tutto supportato da un drumming martellante, un tappeto musicale che ben si presta al servizio dell’ugola acuta del singer Giulio Galamini. A dire il vero i Nostri non aggiungono nulla di nuovo a quanto fatto dai mostri sacri del passato, ma la loro musica è comunque sanguigna e rabbiosa. L’album è stato autoprodotto dalla band e registrato in diverse località dell’Emilia Romagna, non bisogna aspettarsi suoni pompati, ma ciò è pienamente in linea con il genere proposto.

Il punto di forza dei Bicoloured Men è senza dubbio il buon lavoro svolto dalle chitarre, che alternano power chords a riff di maideniana memoria, non trascurando una grande dose di epicità che rende le varie composizioni trionfanti come una marcia in tempi di guerra. È evidente che il combo bolognese è legato profondamente alla tradizione, che di per sé non rappresenta un elemento fortemente negativo, ma non permette di far emergere la loro personalità.

Sin dall’opener “Iron Fist” appare chiaro quello che sarà il percorso dell’intero album, la band afferma che ogni brano è una storia a sé, ma comunque legato
ad uno stile costante e soluzioni che hanno tra loro diversi punti in comune. Tra gli altri sicuramente occorre citare “Ghostation”, “Metal Man” e la conclusiva “The Stockholm Bloodbath”, tra tutti il brano più atmosferico e dai toni minacciosi.

I Bicoloured Men sono musicisti dotati di buona tecnica e padronanza degli strumenti, proprio per questo motivo auspichiamo in futuro un tocco personale, che permetta loro di distaccarsi dai canoni del genere ed essere pienamente riconoscibili. Necessaria anche una maggiore cura dei suoni, per far sì che le tracce appaiano meno casalinghe e più professionali.