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BlindCat: “Black Liquid” – Recensione

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Tra le band più social del panorama, i BlindCat sono dei rockers genuini i cui membri si sono incontrati grazie alla condivisione di video dei singoli alle prese con i loro strumenti. Quando poi la chimica ha avuto la meglio, la band è esplosa, ricevendo consensi ad ogni performance alla quale ha partecipato.
Il segreto di questi quattro ragazzotti sta nel fatto di offrire all’ascoltatore un piatto di puro hard rock, originale nella misura dell’estrazione, nel senso che, pur con la modernizzazione dei suoni, il tutto attinge dai gloriosi anni 70, sia per quanto riguarda le ritmiche che i testi.
L’impressione che si ha ascoltando “Black Liquid“, album d’esordio, è che Gianbattista Recchia e soci si divertano proprio nel suonare. Lo si evince dalla grande carica sprigionata dal disco e da quell’inequivocabile richiamo ai sound della West Coast americana: è come se si fosse continuamente con i capelli al vento; una sensazione di freschezza e di libertà contornata da capacità tecniche d’insieme che regalano all’album la giusta compattezza.
Non ci sono sbavature e la release scorre veloce. Forse, l’unico difetto di quest’album è che non ci sono picchi, ovvero momenti sonori di assoluto godimento con i quali fermarsi e chiudere gli occhi. E non pensare.
E’ un lavoro pulito ed adatto ad un’esibizione sul palco del Whisky a Go Go: sono certa che quella sarebbe una venue dalla quale tornare a casa con le tasche piene di soddisfazioni.
Il rock proposto dalla band è aggressivo nei suoni e morbido nella voce.
Le linee profonde di Gianbattista Recchia creano un mix gradevole che permette al gruppo di non essere buttata nel calderone delle rock band e lì essere dimenticata.
C’è un tocco di epicità che, a mio avviso, dovrebbe essere ulteriormente sfruttato, senza che la band snaturalizzi la propria essenza. Quando, ad esempio, nella parte finale di “The New Farm”, le velocità lasciano il posto ad un più riflessivo accenno di Doom, l’offerta musicale si fa interessante. Stesso discorso per “Under The Sun” che si sviluppa in maniera cadenzata, con innesti vocali di orientale memoria e con l’ausilio della doppia voce sembra di ascoltare un brano dei Creed.
Questo tipo di registro viene proposto anche in “Evil Mind”, una sorta di rock ballad dai toni non certo pacati, dove il giro di chitarra ricorda in questo caso qualcosa dei Black Stone Cherry, pur non scadendo mai nell’effetto imitazione. Neanche quando si tratta di scegliere per davvero una cover e chiudere l’album. I BlindCat si affidano al buon Alice Cooper per riproporre “The Black Widow”: la carica, anche sensuale se vogliamo, di Alice è spazzata via da un approccio decisamente più rude, pur rimanenendo nei meandri del rock. Questo, tra l’altro, è un pezzo che ai BlindCat riesce particolarmente bene, segno che, al di là che si tratti di una cover, per il futuro si possa pensare ad indirizzare il proprio sound ad una resa del genere, potendo la band contare sul fatto che i membri sono innanzitutto dei bravissimi musicisti.