Una band giovane, intelligente abbastanza da non cadere nella tentazione dell’esterofilia musicale sempre e comunque, perchè esprimersi nella lingua madre può essere un assoluto vantaggio quando i concetti sono profondi ed hanno bisogno di essere espressi con convinzione. I Deadly Carnage sono questo. Lo hanno capito ed il loro ultimo lavoro “Manthe” (la recensione) ne è la riprova.
A voi l’intervista alla band.
Domande a cura di Michele Saggin.
Ciao, benvenuti su Metal in Italy. Come band vi seguo da molti anni; vi chiedo: c’è un filo conduttore presente in tutti i vostri lavori, oppure ogni disco vive di vita propria sia a livello di concept lirico che musicale?
Non abbiamo un concept che lega tutti i nostri album, non è mai stato nei nostri programmi creare qualcosa del genere, ogni disco è una nuova pagina in cui sperimentare nuovi approcci musicali, lirici e concettuali. Indubbiamente molti dei nostri brani, pur non facendo parte di un concept, ruotano intorno a tematiche affini, questa è una cosa che si può notare soprattutto nei nostri due ultimi lavori piuttosto che nei primi vagiti della nostra discografia. Questo non vuol dire che in futuro un concept album non sarà possibile, in fondo sarebbe per noi una nuova sperimentazione.
La vostra ultima fatica “Manthe” è uscita nel 2014 per la label Italiana ATMF. Che responsi di pubblico avete avuto sino ad oggi? Vi potete ritenere soddisfatti del lavoro promozionale in supporto al disco?
Con l’uscita di “Manthe” le cose sono iniziate a cambiare, per la prima volta la risposta del pubblico è stata estremamente positiva e consistente anche all’estero, fino ad oggi abbiamo sempre avuto un buon riscontro, sia di pubblico che di critica, ma i risultati maggiori erano stati in Italia, al di fuori del territorio nazionale faticavamo a farci un nome, con “Manthe” invece l’attenzione verso di noi è arrivata soprattutto al di fuori dell’Italia, anche da paesi dell’estremo oriente in cui francamente non pensavamo di arrivare. Siamo pienamente soddisfatti del supporto e del lavoro svolto da ATMF, come sempre si sono rivelati dei veri professionisti.
Anche sul disco precedente ”Sentiero II: Ceneri” avete un brano cantato in Italiano. Avete mai pensato di sfruttare molto di più la nostra lingua madre? Secondo voi è una caratteristica che può contraddistinguere in futuro la vostra proposta musicale?
Sin dal nostro esordio abbiamo proposto qualche brano in lingua madre, sicuramente è una cosa che continueremo a fare anche in futuro, anche se per il momento non è nostra intenzione impostare un intero disco in italiano. Scrivere un testo in lingua madre ha sempre un certo fascino, ma non sempre una lingua come l’italiano si adatta alla struttura e alla metrica di un genere come il nostro, il cadere nel pacchiano o nel ridicolo è una possibilità concreta se non si riesce a far sposare la complessissima strutturale della lingua italiana con la metrica musicale che il genere adotta. Ogniqualvolta avremo un brano che potrà esprimersi al meglio in lingua madre l’italiano sarà certamente utilizzato.
Nella title track finale ci sono inserti strumentali di pregio, ma, in primis, mi ha colpito la disgressione strumentale molto vicina al jazz come natura. Inoltre ha un minutaggio molto lungo. Vi chiedo come è nata l’idea di comporre un pezzo cosi lungo; non avevate paura che potesse risultare prolisso all’ascolto?
L’idea realmente non era tanto quella di comporre un brano dalla lunghezza considerevole, quando quella di proporre una suite in cui cimentarsi nei vari registri sonori che avevamo adottato sugli altri brani dell’album e dedicarci a sperimentarne di nuovi. Realmente l’idea di una suite con lunghe digressioni strumentali nasce durante la composizione di “Sentiero II” dove già avevamo proposto qualcosa di simile con il brano “Paralleles”, era stata un’esperienza decisamente stimolate, quindi abbiamo pensato di lavorare su qualcosa del genere anche per “Manthe” ma lasciandoci andare decisamente di più rispetto al passato, ed è proprio qui che nascono le partiture jazzate e psichedeliche. Non nego che “Manthe” è il brano di cui andiamo più fieri e sicuramente in futuro parti strumentali di questo tipo, anche se non necessariamente tendenti al jazz, saranno indubbiamente presenti.
Nei brani del disco, il fattore emozionale pervade tutto l’ascolto; riuscite a descrivere con una parola ogni song del disco? E secondo voi qual è il brano che più vi rappresenta sul piano personale?
Sicuramente “Manthe” è il brano che maggiormente ci rappresenta, incarna la nostra voglia di sperimentare e di non imporci barriere di alcun tipo. Ironia della sorte, un’unica parola che descrive ogni brano del disco già esiste, ed è sotto gli occhi di tutti; è proprio la parola “Manthe”. Mi rendo conto che affermare questo è come non dire nulla, non è certo una parola che si trova sul vocabolario, infatti la parola stessa è un enigma da risolvere, ha un significato nascosto da svelare, risolvendo l’enigma, e decifrandone il significato appare chiaro perché è questa la parola che rappresenta ogni brano del disco. Attualmente noi non siamo inclini a rivelare la soluzione, lasciamo che siano altri a farlo. Alcuni ci hanno già fatto avere delle ipotesi al riguardo, e qualcuno è riuscito a svelare l’enigma.
Cosa ne pensate della scena metal italiana? Quale potrebbe essere la ricetta, secondo voi, per avere più visibilità all’estero?
In Italia esistono molte band valide, non solo, oserei dire che molte di esse sono assolutamente personali e originali e reggono il confronto senza problemi anche con band estere dai nomi blasonati. Con l’impegno, la costanza e la giusta promozione da parte delle label (e delle band stesse) portare la propria musica oltre i confini nazionali è decisamente possibile. Escludendo dal discorso quelle band che per molte ragioni dirigono la loro musica verso un pubblico esclusivamente nazionale, le migliori band sul panorama italiano piacciono molto anche all’estero, ma non è possibile ottenere questo senza una proposta di qualità e un costante impegno per andare avanti. Se fai sempre le stesse cose, otterrai sempre gli stessi risultati, di volta in volta devi dare di più se di più vuoi ottenere. Questa è l’unica ricetta, valida sempre e comunque.
A livello live, come sta andando la promozione del nuovo disco?
A livello di live la promozione sta andando decisamente bene, le date che ci vengono proposte sono tutte validissime e la risposta del pubblico è estremamente soddisfacente nonostante l’innegabile crisi odierna della sede live, queste sono cose che non possono che farci piacere, soprattutto perché “Manthe”, a differenza dei suoi predecessori, è un album composto principalmente per essere proposto in sede live.
Avete pubblicato un video clip, a mio avviso, di ottima fattura. Al giorno d’oggi, secondo voi, è importante che una band investa in questo tipo di promozione oppure credete che sia più efficace la sua visibilità attraverso i concerti o tour?
Indubbiamente far concerti è uno strumento promozionale che non può essere sostituito, nonostante sembra che il pubblico ai concerti sia in costante diminuzione, avere una costante attività live produce sempre risultati, anche in un momento di crisi del settore come questo. Tuttavia ritengo che sia stata la pubblicazione del video, almeno nel nostro caso, a darci la possibilità di far arrivare la nostra musica fuori dai confini dell’Italia e dell’Europa e a creare i risultati più soddisfacenti. Inoltre io sono decisamente convinto che la musica rimanda sempre a qualcosa di visivo, quindi la pubblicazione di un video per dare una dimensione visuale alla nostra composizione era qualcosa che ci sentivamo di fare. Infatti abbiamo curato il video in prima persona insieme ad alcuni stretti collaboratori
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Bene vi ringrazio per la vostra disponibilità lascio a voi i saluti e l’ultima parola.
Grazie a voi per l’intervista, speriamo di poter dare presto nostro nuove notizia, c’è molto che bolle in pentola!