I catanzaresi Deep Valley Blues hanno recentemente pubblicato il loro primo EP dal titolo omonimo, registrato in presa diretta ed influenzato principalmente dalle atmosfere desertiche dello stoner americano e dal blues. Abbiamo approfondito con la band le radici del sound proposto ed abbiamo scoperto che l’EP è nato quasi per caso…da una registrazione effettuata in sala prove, ma che rispecchiava proprio per questo il sound “garage” dei Deep Valley Blues.
Ciao ragazzi, benvenuti su Metal In Italy. Iniziamo subito con le presentazioni: chi sono i Deep Valley Blues? Quali le tappe fondamentali della vostra carriera?
Umberto (chitarrista): Ciao Stefano e grazie per lo spazio concessoci. I Deep Valley Blues sono quattro ragazzi di Catanzaro che un bel giorno decidono di creare un gruppo. Un gruppo con il quale riuscire ad esprimere la loro idea di musica, dove poter miscelare suoni e generi senza strafare con assoli o virtuosismi. Il tutto deve essere semplice, deve trasportare l’ascoltatore che, presosi la briga di sentire il nostro EP, deve poter muovere la testa o battere i piedi a terra ad ogni pezzo, come per voler dare un contributo sonoro a quello che sta sentendo. Parlare di tappe fondamentali mi sembra un po’ prematuro visto che siamo usciti ora dalla nostra tana, un po’ come le lumache dopo la pioggia! Però abbiamo già risolto uno dei problemi fondamentali per il luogo in cui viviamo: riuscire a trovare le persone giuste con cui dar vita ad un progetto serio e ambizioso. Personalmente non cercavo solo tre musicisti, cercavo tre amici che condividessero la mia stessa idea di gruppo.
Dal punto di vista discografico avete iniziato con l’EP omonimo. Come sono nati i brani? Perché la scelta di registrare in presa diretta?
Umberto: I brani sono dei miei vecchi pezzi nati qualche anno fa, durante le mie schitarrate del dopo il lavoro. Una volta ritornato, sempre per lavoro, a Catanzaro decisi di dare una forma a questi pezzi rimasti in cantiere e, con l’aiuto dei ragazzi, ci siamo divertiti ad assemblare e disassemblare diverse parti per creare i brani finiti poi nel nostro primo EP. La scelta di registrare in presa diretta è stata presa per due motivazioni: ci piace avere un suono crudo, meno lavorato possibile, c’è a chi piace definirlo garage; la seconda è stata un caso fortuito, poiché il tutto è nato una semplice registrazione delle nostre prove! Infatti l’intento primario era quello di registrare le prove per capire come legassero le due chitarre, dopo l’entrata di Alessandro, ma ascoltando la registrazione abbiamo notato che era venuta particolarmente bene ed abbiamo deciso che quello sarebbe stato il nostro primo lavoro.
Hard Rock, Stoner, Sludge, ma nel vostro moniker c’è anche il “Blues”. In quale misura questo genere rientra nel vostro sound? Quali gli artisti che ascoltate maggiormente?
Umberto: Oltre che nella tecnica dei brani, dove molti assoli richiamano la più classica delle scale blues, anche nella loro costruzione è molto presente, soprattutto per quanto riguarda l’espressività. Vorrei chiarire solo una cosa, per me il blues non è quello che si sente adesso, ma quello anni ’30/’40 dove tutto stava nell’espressività della chitarra, molta ritmica, qualche assolo e una voce calda. A tal proposito nel mio personale ascolto rientrano Blinde Blake, Muddy Waters, Buddy Guy, Howlin Wolf, Fred McDowell e mi fermo qui altrimenti mi uccidete. Gli artisti che ascolto maggiormente sono svariati: si va dai Portishead ai Prodigy, poi Queens Of The Stone Age, Rage Against The Machine, Smashing Pumpkins, Guns’n’Roses, Rancid, Millecolin, Pantera, Slipnknot, Korn e Queen (soprattutto i primissimi album). Ma anche Rolling Stone, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis, il grandissimo Jimi Hendrix, The Allman Brothers Band, Grand Funk Railroad, il folk irlandese, Negrita, 99 Posse… Ok, uccidetemi, vi prego!
Alex (chitarrista): Per quanto riguarda le mie esperienze musicali, sono cresciuto prima con la parte “estrema” della musica. Sono partito dal grunge, per poi passare al metal e, piano piano, mi sono “ammorbidito” passando dai generi più disparati. Innanzitutto vari gruppi fine anni ’60/inizi ’70, quindi Jimi Hendrix, Doors, Led Zeppelin, Deep Purple, Pink Floyd. Poi a causa di uno dei miei gruppi preferiti in assoluto, i Pantera, che hanno mischiato una forte componente blues negli assoli grazie all’indimenticabile Dimebag Darrell, ho conosciuto i Down, progetto parallelo del cantante Phil Anselmo. E da li a ricercare i gruppi stoner più significativi quali gli Sleep, Orange Goblin, Kyuss, Queens of The Stone Age, ecc.
Giando (bassista e cantante): Non esiste un artista che, in maniera particolare, ascoltiamo maggiormente, o meglio non ce n’è uno che ci interessi che viene ascoltato meno di un altro. Io sono molto legato al metal e quindi a band come Motorhead e Black Sabbath, ma anche all’underground locale in cui si possono trovare band molto valide. Il nostro nome è un richiamo al desert rock di stampo americano e a livello di sonorità ci sentiamo molto vicini a Kyuss, Truckfighters, Sleep, ma anche Down e Queens of Stone Age. Band che, a loro volta, si sono ispirate e sono state influenzate dal blues. Nella nostra musica c’è molto di quello che ascoltiamo e il blues è solo un punto fermo che noi tentiamo di completare con sonorità provenienti da altri generi.
Rimanendo in tema, in che modo ciò che ascoltate si riversa nelle vostre composizioni?
Umberto: Penso che chiunque faccia musica, soprattutto pezzi inediti, abbia propri riferimenti che, anche in maniera inconscia, tende ad emulare. Per quanto mi riguarda – vedi risposta precedente – in testa ho uno tsunami di generi e penso che ognuno di questi, in maniera diversa, dia il suo contributo in fase compositiva.
Alex: Abitualmente si suddivide la musica in generi e sottogeneri. Non è sbagliato, ma, almeno per quanto ci riguarda, preferiamo caratterizzarla con le sensazioni che ne scaturiscono. Arrivati ad un certo punto il genere non conta più poi così tanto. I riff che vengono fuori sono inerenti alle sensazioni che vogliamo far scaturire nel pezzo, indipendentemente dal genere.
Giando: Posso dire che alcuni giri partendo dal blues si sono riversati nelle nostre canzoni. Mentre per scrivere la metrica di alcuni testi ho dovuto prendere ispirazione da band diverse, anche italiane. Nella nostra musica c’è sempre qualcosa di una band che abbiamo ascoltato, ma, allo stesso tempo, tentiamo di tenerci un po’ a distanza tentando di elaborare in maniera personale questi “insegnamenti”, a volte anche sbagliando e magari proponendo qualcosa che può non piacere. Purtroppo per ogni musicista, dal più piccolo al più grande, questo è il prezzo da pagare per tentare di uscire fuori dagli schemi!
Dal punto di vista dei temi trattati, su quali argomenti si concentrano i testi? Pensate che la musica possa veicolare un messaggio? O avere in qualche modo una funzione sociale?
Umberto: Quando ero alle superiori mi addormentavo con il walkman ascoltando i pezzi dei 99 Posse oppure dei RATM in loop. Posso affermare che mi hanno fatto il lavaggio del cervello, in particolar modo i primi. Quindi, ritornando alla domanda: sì, possono veicolare un messaggio. La musica è una forma d’arte e come tale ha il grandissimo potere di arrivare in maniera molto diretta alla sensibilità delle persone.
Giando: Per quanto riguarda i nostri testi, io mi concentro su varie sfumature del dolore e in alcuni casi sull’abbandono. Le tematiche per me sono state sempre importanti, che trattassero di esoterismo o di attualità, c’è sempre un messaggio. In maniera particolare penso che il cantato in italiano sia stato molto sottovalutato, è meno “schermato” e può dare un messaggio diretto, ovviamente solo dentro i confini nella nostra penisola. Penso che in passato i testi abbiano avuto una rilevanza maggiore, non era raro vedere gruppi che affrontavano tematiche sociali e riuscivano ad avere un ruolo nella cultura perché era una cosa innovativa. Mentre attualmente vedo testi che sono, senza voler attaccare nessuno, privi di senso e si concentrano solamente sulla musicalità di alcune parole. Oggi è difficile prendere in considerazione un messaggio perché anche l’ascolto è diventato superficiale, certo c’è una grande fetta di ascoltatori che per fortuna mantiene attenzione in ogni ascolto e riesce a cogliere quello che l’artista vuole esprimere, ma è poco rispetto alla massa.
Quali sono gli obiettivi che vi siete posti? Ci sono delle mete che intendete raggiungere nei prossimi anni o preferite vivere la musica giorno per giorno?
Umberto: Se ascoltate i nostri pezzi e vi viene naturale muovervi sulla sedia o vi resta in testa un nostro motivo, vuol dire che abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo! Io preferisco vivere giorno per giorno, le prospettive a lungo termine mi mettono a disagio ed in ansia.
Giando: Innanzitutto fare più date possibili, tra stravolgimenti di formazione e altro siamo rimasti troppo tempo chiusi in sala prove e vogliamo assolutamente uscire fuori. Per ora ti posso dire che l’obiettivo principale è andare oltre la nostra regione e farci conoscere in giro per l’Italia.
Voi siete una band giovane e come tale avete affrontato tutte le difficoltà di chi si affaccia nel mondo della musica. Quali sono gli ostacoli più grandi che vi siete trovati davanti sin dai primi passi?
Umberto: È vero siamo una band giovane, ma comunque ognuno di noi ha sulle spalle esperienze con altri gruppi, io suonavo nei Bad Trip, Giando nei Drippin Sin, Ale e Giorgio negli Amorphed. Queste regresse esperienze ci hanno aiutato a fare, come si dice dalle nostre parti, la “scorza” (ovvero la buccia, la corazza).
Alex: Abbiamo avuto tutti alle spalle una band con la quale abbiamo fatto esperienza, con la quale ci siamo formati e con la quale siamo venuti a conoscenza delle svariate problematiche che si incontrano nel mondo della musica: posti in cui suonare, gente a cui non stai simpatico, problemi organizzativi e via dicendo… Da queste esperienze abbiamo capito semplicemente che l’organizzazione e la serenità con gli altri sono alla base di tutto in un gruppo!
Giando: L’ostacolo principale è trovare persone che abbiamo l’attitudine al sacrificio, chiamiamola così, sappiamo che una band che suona un genere alternativo deve affrontare non poche difficoltà. A partire dai guadagni che si possono avere e a finire con lo spostarsi anche solo per le prove, bisogna avere dei compagni di viaggio validi che siano disposti ad affrontare queste difficoltà. È dura vedere musicisti che vogliono il piatto pronto, non ci si deve aspettare nulla da nessuno che sia una data o la produzione di un disco.
Con l’avvento dei social sicuramente le distanze si sono accorciate, l’appartenenza geografica è relativa. Questo però non è valido se parliamo di attività live… Qual è la situazione nella vostra regione?
Umberto: Siamo agli esordi e considerando che il nostro EP è uscito a giugno non abbiamo potuto ancora farci una idea reale su com’è la situazione attuale nella nostra regione.
Giando: È dura, molto dura. Ci sono ancora quei pochi ragazzi che tentano di organizzare qualcosa sia nella provincia di Catanzaro, che a Reggio o a Cosenza, ma gli spazi sono pochi e vi sono difficoltà di ogni tipo. A volte manca proprio il supporto dei locali, noi spettatori non ci teniamo come dovremmo, è una situazione comune a tutta l’Italia. Vedo concorsi a pagamento organizzati da presunti promoters dove viene messa in palio la possibilità di suonare senza retribuzione nella rassegna di un locale. È una cosa scandalosa perché non si incentiva la formazione di nuove band ma si sputa sopra a giovani musicisti che di lì a poco abbandoneranno la scena musicale per non sottostare a questi atteggiamenti. Voglio essere positivo però, perché ho visto più partecipazione di recente ai concerti e spero si possa crescere anche da questo punto di vista.
Recentemente avete pubblicato il video di “Hell Of A Month”. Perché avete scelto proprio questo brano? Pensate che sia il brano più rappresentativo dell’EP?
Umberto: La scelta è ricaduta su Hell of a Month perché per l’idea di video che avevamo era quella che secondo noi si prestava meglio allo scopo.
Giando: Perché Hell of a Month è stata una delle prime composizioni della band e credo sia la canzone più energica e meglio riuscita dell’EP. Riassume il nostro sound con una partenza forte che poi accompagna l’ascoltatore con delle variazioni più leggere sul finale.
Bene ragazzi…vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso. Lascio a voi l’ultima parola, un messaggio per i nostri lettori. A presto!
Umberto: Ringraziamo voi per averci dato la possibilità di farci conoscere un pochino meglio e salutiamo calorosamente tutti i lettori di Metal in Italy. Vi auguro un buon ascolto del nostro EP, visto le temperature desertiche magari può essere una buona colonna sonora per viaggiare con la mente. Ciao!
Giando: Grazie a te Stefano per questa intervista, massimo supporto a webzine come Metal in Italy. Un saluto ai vostri lettori, ascoltate l’EP e fateci sapere cosa ne pensate!