I suoni non sono sporchi… sono proprio zozzi!
I Di’Aul sono una di quelle band che possono dire di avere una storia da raccontare. Innanzittuo dal punto di vista dell’alchimia tra i membri, particolare che ha permesso loro di proporre un doom che parla, utilizzando il linguaggio “Sabbathiano”. Le atmosfere che “Garden Of Exile” richiama sono quelle da headbanging pesante, di quelli che ti sale il sangue al cervello perchè la tua testa è continuamente appesa all’ingiù.
Otto interessantissime tracce compongono il lavoro della band di Pavia.
Il disco si apre con una roboante “Till”… forse anche troppo. La voce di Mimmo Cinieri cerca di farsi spazio nell’assordante ritmo di uno stoner elaborato. Fortuna che poi, in pezzi come “Mistery Doom” il graffio della tigre si sente forte e chiaro, lasciando il segno. Esattamente come il combo fa con “Born In Black”, il pezzo che forse più di tutti parla il famoso linguaggio “Sabbathiano”.
Mi piace molto la competizine che si evince da questo album: quella continua lotta tra voce e mitragliate di chitarra che accompagnano l’intera release. Il risultato è notevole perchè ogni singola traccia viene fuori aggressiva, decisa a non fare sconti a chi ascolta.
Pare che qualcuno li abbia definiti come “la colonna sonora della fine del mondo”, probabilmente immaginando scenari apocalittici ai quali “Garden Of Exile” potrebbe regalare il suo mood. Ma più che fine del mondo, i Di’Aul sembrano perfetti per raccontare le sofferenze e gli sforzi di chi cerca di tenersi a galla dalle paludi della morte. Non si cercano messaggi positivi. La band non è qui per questo. Anche perchè non ci troveremo di fronte a pezzi come “Funeral Blood”, perfetta combine tra doom e black metal capace di soddisfare anche i palati (in termini di gusto) più differenti.
Anche “Black Snake Voodoo” può essere una sorpresa con la sua ritmica cadenzata che in qualche modo dona un po’ di “umanità” ad un lavoro brutale.
Chiude i giochi “The Fallen”, come a voler difendere con forza l’etichetta di distruttori del mondo. Eppure anche in questo grido di dolore viene fuori l’anima dei Di’Aul, senz’altro un’anima nera che sembra proprio non riuscire a trovare una via d’uscita dai “giardini dell’esilio” nei quali è stata confinata.