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Exotheria: “Angels Are Calling” – Recensione

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E’ raro trovare nel metal un gruppo che decide di affidare alla propria musica messaggi positivi. Per lo più le atmosfere cupe sono quelle che la maggior parte predilige. Gli Exotheria no.
La band di Ferrara si presenta al pubblico con “Angels Are Calling“, album di debutto che consta di dieci tracce, anche se dopo aver ascoltato il disco, parlare di debutto, sembra quasi uno scherzo.

Il punto è che la band romagnola è ruscita a trovare il giusto compromesso tra il power ed il prog, attingendo sicuramente dai soliti grandi nomi del genere, dai quali sa anche distaccarsi al momento opportuno.
L’impressione che si ha nell’ascoltare “Angels Are Calling” è che il tutto sia stato concepito in maniera gioiosa. Non basta l’Intro di matrice epica a creare quella distanza tra cielo e terra, tra umano e sovrannaturale: la musica degli Exotheria è concreta, reale. E quel che conta è che i margini di crescita si percepiscono subito.
Come detto, le influenze di gruppi come gli Helloween, la visione orchestrale di Turilli o anche le duttilità atmosferiche dei Dream Theater, sono bene evidenti e lo diciamo a vantaggio di chi legge in modo tale da far inquadrare il genere.
Nel brano “The Day Has Come” esplode il tripudio di chitarre, in alternanza con gli assoli: componenti che regalano anche una potenza estetica alla musica del gruppo.
Le parti che le chitarre si ritagliano sono una costante, un segno distintivo della band, senza nulla togliere all’estensione di Nicola Ciarlini alla voce: notevole e d’impatto.
Buona la scelta dei cambi melodici, con breakdown che catturano l’attenzione (come nel caso di “Lost In Space”), senza che il disco scorra via passivamente.
Nostalgica nel testo è invece “Time”, anche se non viene abbandonato un certo ottimismo compositivo.
La bellezza esplode nel brano omonimo: “Exotheria” è una sad ballad (almeno nella parte iniziale) che richiama un po’ le atmosfere heavy metal di inizio anni 90, ma che non prosegue sulla scia tradizionale perchè si sviluppa in un power decisamente più galoppante. E’ un brano ben strutturato, per nulla scontato, che denota l’attenzione data dai nostri ai particolari ritmici che fanno poi la differenza.
Una piccola annotazione per il brano “The Throne Of The Beast”: mi ha ricordato l’Inno alla Gioia di Beethoven… E da un certo punto di vista sono contenta perchè in apertura di recensione ho detto che il lavoro d’insieme mi è sembrato “gioioso”… Segno che avevo ragione.