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Fatal Destiny: “Palindromia” – Recensione

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La storia dei Fatal Destiny ci racconta di un cantante, Andrea Zamboni, che ha un fratello gemello che fa il bassista, Filippo, ma non è con lui che mette su quello che, a mio avviso, è uno dei gruppi più interessanti nel calderone dell’underground del prog.
Certo, l’alchimia nasce e si sviluppa quasi subito e “Palindromia” è il frutto di un ricercato lavoro di suoni, melodie ed atmosfere.
Mi piace definire il sound dei veronesi un “prog guerriero”: è la colonna sonora della battaglia, di una guerra più culturale o interiore, piuttosto che fisica. La sostanza è data invece dai suoni, dal composto musicale che rivela solidità.
“Palindromia” è un quadro completo, quasi da scena teatrale, ovvero quella che potrebbe essere la sua location naturale nell’eventualità si decidesse di spingere come si deve gruppo e disco.
Continui atti di scena, rocamboleschi passaggi di modern prog, intervallati da chicche più melodiche, come la splendida “Leave Me Here”.
I giri di piano in puro stile prog, o gli assoli pregevoli del chitarrista Castelletti si dosano a vicenda i tempi, lasciando alle vocals la parte decisamente più heavy. Le composizioni sono ben curate ed è notevole come le parti acustiche riescano a fondersi in maniera sapiente con quelle più propriamente orchestrali, lasciando all’orecchio il piacere di gustare la varietà degli strumenti adoperati.
Probabilmente, dopo diversi ascolti dell’album e prendendo in esame quest’ultima considerazione, viene da pensare che manca solo una cosa: un approccio più contenuto. Mi spiego: i picchi vocali e la linea tesa che avvolge l’intera release potrebbero essere, magari in futuro, addolciti da intramezzi più pacati, con qualche tonalità inferiore che smussi la naturale epicità trasmessa. Anche perchè sarebbe interessante ascoltare il tepore della voce di Andrea Zamboni, che sicuramente sulle note alte dimostra un’ottima valenza, motivo per cui viene da chiedersi cosa sarebbe in grado di fare con qualche tono sotto.
Otto le tracce che compongono la release, anche se in realtà ne sono sei racchiuse dalla titletrack ed opener strumentale e la finale “No Devil Lived On” che sembra contenere tutti gli eccessi e le “rimasuglie” delle precedenti. Un’ultima traccia che viene chiusa con un cigolio di porta, offrendo anche una visione evocativa e non solo propriamente fisica dei suoni.