Nonostante l’arrivo di internet e tante fratture date da invidie e ipocrisie, gli Handful Of Hate sono riusciti a portare avanti il proprio progetto per 20 anni. Con il desiderio e la voglia di migliorarsi ad ogni lavoro fatto. Abbiamo voluto cosi avere un tu per tu con il “Mastermind” della band Nicola.
Ciao Nicola, benvenuto sulle pagine di Metal in Italy. Ti conosco ormai dai lontani anni ’90, cosa è cambiato a livello musicale e personale da quando hai fondato la band ad oggi?
Si ci conosciamo da parecchio! Di anni ne sono passati più di 15 ed in tutto questo tempo gli Handful Of Hate hanno operato una vera e propria evoluzione musicale secondo le linee guida che già all’inizio mi ero preposto. Nell’ambito dei generi estremi (Black e Death), oltre ad esser nate varie sfumature o sottogeneri , si sono susseguiti momenti più favorevoli ed altri di crisi o ibernazione. E’ aumentato il numero delle bands (anche nel nostro paese), a livello internazionale ha prevalso la logica delle labels (paga e ti faccio il cd) a livello live il “pay to play”. E’ aumentata la caratura dei musicisti e la tecnica, e questo indubbiamente è un fatto positivo però allo stesso tempo il panorama metal estremo è saturo, ed in molti casi saturo di band inutili. Questo è quello che vedo da quando ho cominciato (1993) ad oggi. Dal punto di vista personale spero, ma non sta a me a dirlo, di essermi perfezionato assumendo una personalità mia nel riffing e nelle composizioni. Ho cercato di portare avanti il discorso Handful Of Hate seguendo una linea di coerenza col passato, senza buttarmi dentro alle varie mode del momento ma mantenendo le idee iniziali (Black/Death senza compromessi) e migliorandomi su questa strada. Con umiltà e pazienza ho ed abbiamo costruito 6 albums ed in maniera realista continuiamo a suonare per il piacere di farlo finchè ci va di farlo e finchè abbiamo qualcosa da dire.
Vent’anni di carriera sono un bel traguardo, quali sono stati i momenti salienti e quale parola useresti per descrivere tutti questi anni?
Una bella ma faticosa esperienza. 22 anni a Novembre 2015 sono un percorso lungo che per forza di cose ti porta a confrontarti con molte persone che hanno lasciato un segno più o meno positivo nel cammino della band vuoi musicisti, label managers, promoters etc. Tutto fa parte di una crescita e l’importante, secondo me, è essere qua adesso ; aver fondamentalmente portato la band al punto di vista musicale che volevo, non essermi mai piegato, e ripeto mai! Alle varie ripicche o personalità che hanno attraversato il nostro cammino. Non ho mai avuto compromessi ed ho preferito il “tagliare via il marcio” piuttosto che cercare di digerirlo. Continuo e continuerò a suonare finchè ne sentirò lo stimolo e la voglia non per condizionamenti esterni. Il fatto di aver rilasciato un nuovo album come “To Perdition” penso sia la risposta e l’apice di questa esperienza non devo aggiungere altro.
C’è stato un momento in cui hai pensato di appendere la chitarra al chiodo e perché?
Credimi: no! Alle volte sento il bisogno di disintossicarmi da tutte le persone di basso profilo ed i contesti “metal” specialmente quelli molto “trve”, come si suol dire, poiché non sono abituato a carichi massicci di demenza ed inqualificabile ignoranza che scaturisce dalla frustrazione di vivere che genera piccoli odi, sotterfugi, invidie atti di vigliaccheria e le classiche malelingue da circolino. Allora mi rilasso per un periodo e poi torno a dedicarmi a quello che per me conta: la musica.
Nella tua carriera hai pubblicato 6 dischi, quali tra questi ti ha dato maggiori soddisfazioni e quali, secondo te, sono le differenze tra loro? Quale disco a tuo parere delinea maggiormente le evoluzioni del tuo percorso musicale?
Ogni album ha una sua storia particolare, è indubbio che l’ultimo “To Perdition” è un po il culmine del nostro sviluppo fino ad ora. Se lo confronti col primo album “Qliphothic Supremacy” le differenze sono enormi; non solo dal punto di vista esecutivo ma anche proprio del riffing. Ogni album va ascoltato cercando di capire il momento storico, sia della band sia generale, nel periodo quando fu composto. I primi due album “Qliphothic Supremacy” 1997 e “Hierarchy 1999” rappresentano un po’ le premesse di una band ancora giovane, molto inesperta, ma secondo me con buone idee che si muove in un panorama italiano quasi inesistente ed una scena Europea praticamente rivolta quasi esclusivamente alla Scandinavia. “ViceCrown” 2003, il terzo album ha per me un gran significato poiché, una volta fatta l’ennesima pulizia nella line-up, mi misi sotto nella composizione e tecnicamente lavorando su me stesso riuscendo a gestire questo nuovo capitolo al meglio delle mie possibilità. “ViceCrown” è un po il “nuovo” volto degli Handful Of Hate, ovvero una band che dopo 10 anni di carriera si presenta matura, professionale e tosta. A seguire “Gruesome Splendour” 2007 che è l’estremizzazione di “ViceCrown” e poi, dopo un completo “restyling” la band si ripresenta nel 2009 con “You Will Bleed”. Forse il mio disco più particolare poiché avevo da anni in mente di voler fare un disco old school, sia nella musica sia nell’artwork, ispirandomi ai vecchi album usciti per Black Mark Rec. Su tutti i Bathory. Da qui un disco tipicamente “Black” riffing più cadenzati, velocità più ridotte un artwork bianco e nero con apertura a poster A4 come i vecchi cd. Mi sono tolto una soddisfazione!
Ed alla fine “To Perdition” con una formazione tecnicamente killer un drumming che non ha bisogno di mille trucchi e correzioni come in passato, grazie ad Aeternus alla batteria, da qui la volontà di fare qualcosa vuoi personale ma allo stesso tempo vuoi di una violenza mai sentita prima.
C’è una particolare formula che ti ha permesso di continuare il tuo cammino in tutti questi anni?
Si! La coerenza! Se stavo dietro a tutti gli idioti che hanno intasato l’attività della band e si trascinavano alle spalle del mio lavoro a quest’ora eravamo nel limbo del nulla. Ed invece volta per volta sono sempre ripartito con più forza di prima. Comprendo bene che questo ha creato molti fastidi ed invidie come so che la mia personalità non è delle più semplici. Ma se vuoi suonare e costruire qualcosa serve spesso esser dispotici con chi non serve più alla band e crea un freno. Io suono e continuerò a farlo finchè ne avrò voglia non attaccherò la chitarra al chiodo per le malelingue o per le defezioni che avvengono all’interno del gruppo.
“To Perdition” è il tuo ultimo lavoro pubblicato per Aural music/code666 nel 2013. Come è stato accolto e tutt’ora che riscontri sta ottenendo a livello di pubblico?
Il disco ha avuto ottime recensioni e, nonostante il momento non sia dei migliori per le vendite, so che sta avendo un discreto seguito anche sul mercato. Tutti coloro che già conoscevano la band sono rimasti entusiasti del lavoro mentre chi si è accostato a noi per la prima volta è rimasto stupito. Questo almeno è quello che mi dicono…
Come è nato “To Perdition”? E quali aneddoti ci puoi raccontare riguardo questo disco?
E’ un disco che è nato dopo un songwriting molto lungo. A me piace prendermela comoda. Non ci corre dietro nessuno e suonare per noi non è un lavoro quindi la prendiamo con la dovuta calma. Le songs sono nate in un arco di tempo piuttosto lungo 2011-13 e le registrazioni svolte in più sessioni. Posso dirti che come il predecessore “You Will Bleed” è un disco “fatto in casa” ovvero: tranne la batteria fatta in studio il resto è stato tutto lavorato o in sala prove da noi o ai KK digital Recordings / Crank Music a Cosenza.
Vi ho visto suonare live all’ultima edizione del Black Winter Festival a Brescia, che esperienza è stata per te?
E’ stata una bella serata, molta gente e la Nihil ha fatto un gran lavoro nel creare un bell’evento. Siamo saltati sul palco, come spesso accade, senza soundcheck e con un tempo assai limitato, e semplicemente abbiamo dato il massimo. Penso che il livello delle bands sia stato molto elevato nonché vario ed il pubblico abbia risposto alla grande.
Cosa è cambiato nel pubblico di oggi rispetto a quello di quando hai iniziato?
Una volta la gente si muoveva di più, secondo me per due motivi: uno non c’era internet, due c’erano meno bands ed ogni live era un evento. Le nuove generazioni spesso non conoscono le radici di generi quali il Black o il Death e si sono formati negli ultimi anni con tutte quelle bands che generalmente si definiscono con aggettivi quali “post” oppure “core” che hanno contaminato la musica con mille trovate prese da generi differenti ma che nulla hanno a che vedere con la musica estrema. La musica si evolve, naturalmente, però io penso che il Death o il Black siano questo e più di tanto non si possa snaturare.
Quali sono i progetti futuri e cosa ci dobbiamo aspettare prossimamente?
Per ora ci dedichiamo ai live di promozione a “To Perdition” poi, sempre con la consueta calma, cominceremo ad assemblare riffs in vista di qualcosa in futuro.
Ti ringrazio per il tempo che mi hai concesso. Vorrei lasciare a te l’ultima parola per un saluto ed un invito ai nostri lettori.
Ti ringrazio per l’intervista, saluto tutti coloro che ci apprezzano e vengono a vederci live!