Singolare l’approccio alla vita degli Inside Mankind. Loro sono quelli che non si fermano alle apparenze o ai credo, ma vanno a fondo delle questioni, interrogandosi sui “perchè” che caratterizzano le nostre giornate. Con uno sguardo rivolto al “divino” che, come dice anche la stessa band, non deve spaventare. Anzi.
Singolare anche l’approccio a ciò che è stato: i nomi degli ex membri che vanno a comporre una sorta di Monumento ai Caduti dal quale attingere con speranza, perchè chi ha fatto parte del passato ha fatto posto a chi porta avanti il presente.
L’intervista:
Ciao ragazzi, vi diamo il benvenuto sulle pagine di Metal In Italy. Prima di iniziare con le domande è giusto procedere con le presentazioni. Come descrivereste gli Inside Mankind e perché avete scelto questo nome?
Ciao e grazie a voi per questa intervista! Gli Inside Mankind sono folli! Siamo una band molto eterogenea e ancora è difficile spiegare come ci siamo incontrati. Musicalmente veniamo da esperienze totalmente differenti. Claire è una cantante lirica, Matteo ha un passato da clarinettista con la passione della musica medievale, Francesco e Christian sono più sul versante death metal, progressive e djent. Il nostro nome deriva dal messaggio che vogliamo trasmettere. L’esperienza cristiana della vita umana vissuta come un cammino di fede all’interno di un mondo che molto spesso si dimentica di Dio.
Parliamo di “Oikoumene” (la recensione), non si tratta di un titolo scelto a caso. Il termine è di origine greca, ed ha una doppia connotazione, sia geografica che filosofico-religiosa. Quali sono i concetti contenuti nell’album?
I concetti contenuti nei pezzi di Oikoumene derivano dalle varie esperienze della nostra vita. Tutti noi ci siamo scontrati con l’amore (Keep me by the stars), con l’ipocrisia (Phariseum), chi di noi non ha mai avuto paura (Fear)? Tutte queste emozioni portano quindi alla domanda che permea Human Divine: può esserci vita umana senza la presenza di qualcosa di divino? Dove troviamo Dio in tutte queste esperienze? L’umanità può davvero comprenderne la vera essenza? Questo ci siamo chiesti. Oikoumene, “la casa dove tutti abitiamo” individua proprio questo percorso di ricerca interna del divino nella nostra vita quotidiana.
Il vostro sound è prettamente progressivo, ma non disdegnate passaggi di chiara derivazione Death, quindi non solo voce femminile (splendida), ma anche growl maschile. Perchè questa scelta di non fossilizzarvi su linee ben precise?
Quando scriviamo un pezzo non pensiamo a quali linee seguire per rientrare in un determinato genere. Partiamo da un concetto e non da uno stile. La contrapposizione della voce lirica a quella growl è un contrasto necessario all’interno di alcuni pezzi che individuano tematiche potenti (Phariseum, Fear, Forty).
Come siete riusciti a prendere elementi comuni a tante altre band e renderli comunque riconoscibili? C’è stato un momento in cui vi siete resi conto di aver raggiunto il giusto equilibrio?
Ogni pezzo ha richiesto anni per essere scritto e questo ha dato un vantaggio: chiunque entrava negli Inside dava il suo contributo e magari quella sfumatura particolare o quel suono derivano da emozioni vissute durante questi lunghissimi anni. Fino alla fine della registrazione il pezzo non si è potuto dire concluso, in quanto Giacomo Jac Salani de La Fucina Studio ci ha fatto scoprire lati nascosti nelle potenzialità individuali. L’equilibrio non è altro che tensione tra i vari membri che si sposta da uno all’altro in base alle esigenze e soprattutto ai pezzi.
C’è un brano che vi rappresenta al meglio? A distanza di tempo dall’uscita dell’album qual è invece la traccia che i vostri fans apprezzano maggiormente e perché?
Il brano che ci rappresenta senza dubbio è Human Divine. La chiave di volta del disco dove cerchiamo di dare una risposta alla domanda che ci siamo posti nel comporre Oikoumene. Una suite da quattordici minuti che ingloba anche un medley di tutti i pezzi del disco. I nostri fans invece apprezzano molto Fear. E’ uno dei pezzi storici che ha attraversato più modifiche e correzioni. Il più vissuto, il più amato e anche il più richiesto.
Nel corso della carriera della band c’è mai stato un momento in cui vi siete sentiti scoraggiati? Magari per la difficoltà nel trovare locali dove esibirvi, scarso interesse da parte del pubblico nostrano o semplicemente momenti in cui l’alchimia tra di voi è venuta meno?
I locali che fanno esibire band inedite sono davvero pochi, ma questo non ci ha abbattuti quanto le partenze dei vari componenti. Su uno dei muri della nostra sala prove abbiamo fatto il “Monumento ai Caduti”, tutti gli ex componenti sono scritti lì. Ogni tacca ha significato un nuovo inizio, che si è interrotto con la scritta successiva. Adesso siamo arrivati alla line-up definitiva (speriamo) con l’arrivo di Giuseppe Lovascio alle tastiere. Un gran bell’acquisto.
Sempre più spesso mi capita di ascoltare gruppi italiani validissimi, che non hanno nulla da invidiare a band straniere, ma perché il pubblico italiano tende ad essere esterofilo?
Il pubblico italiano non prende con la dovuta serietà la musica locale. Puoi essere bravo quanto vuoi, ma se non hai un nome all’estero non sei considerato molto. La scena metal purtroppo è una nicchia che chiede di essere deliziata con effetti speciali. Questo però va a discapito dell’underground che sta sfornando nomi validissimi.
Su cosa vi state concentrando al momento e quali sono i vostri progetti per il futuro?
In questo momento ci stiamo preparando per il tour in Est-Europa che partirà a Marzo. Siamo davvero felici di poter vedere realtà diverse dall’Italia e incontrare un pubblico diverso. Al nostro ritorno ci metteremo a comporre il nuovo disco.. le idee sono tante ma non vi anticipiamo nulla.
Ragazzi vi ringrazio moltissimo per la disponibilità, a voi l’ultima parola per lasciare un messaggio ai nostri lettori e ai vostri fans, ovviamente! A presto!
Noi vi ringraziamo per quest’intervista. Grazie Metal in Italy e grazie fans per il supporto che ci avete dimostrato. Ai nuovi lettori diciamo di non spaventarsi delle difficili tematiche del disco, ma di viverlo in semplicità, come un’emozione.