I Koza Noztra sono uno di quei gruppi che fanno le pulci al nostro Paese, nel senso che raccontano in musica e senza mezzi termini le brutture che lo caratterizzano.
La loro è una visione di denuncia estrema della realtà, senza fronzoli, demagogia o giri di parole, come si evince chiaramente da questa intervista.
Com’è nata l’idea di pubblicare i vostri album attraverso ep separati (la recensione di “Santa Delicta Atto I) e non nel classico formato full lenght? Non credete che in un mercato così dispersivo questa decisione possa essere un’arma a doppio taglio? Mi spiego: se da un lato tutto ciò può stimolare la curiosità dei fan, dall’altra potrebbe in un certo senso stancarli. Siete d’accordo?
Tutti i nostri album sono già stati scritti e completati nel momento stesso in cui ci siamo formati. Nel 2006 (anche se il primo album è del 2008), avevamo già in mente tutti i pezzi e i testi che sarebbero andati a comporre il nostro concept, la storia che raccontiamo. Per “Cronaca Nera” e “Sancta Delicta” abbiamo deciso di dividere gli album in due EP solamente per motivi pratici, per poter pubblicare prima quello che ci interessava.
Personalmente, considero la vostra proposta in generale e il vostro nuovo ep in particolare tra le proposte più interessanti, se non la più interessante in assoluto, nel panorama musicale italiano perché, oltre a intrattenere l’ascoltatore con un hard and heavy di ottima fattura, riuscite a fare ciò che pochi fanno, cioè denunciare e far riflettere. Come nasce il testo di una vostra canzone? Vi va di illustrarci il vostro processo creativo?
Come ti dicevo, non c’è un processo creativo in atto. La nostra narrazione si articola in cinque album tutti già decisi, tutti già scritti. Avremmo potuto pubblicarli anche tutti contemporaneamente, se ne avessimo avuti i mezzi. Il primo album “Koza Noztra” (2008) era incentrato sull’esaurimento nervoso individuale. Il secondo “Tragedia Della Follia” (2011) si estendeva a quello sociale, collettivo. “Cronaca Nera” (2013 e 2014) allarga la prospettiva laddove questo esaurimento nervoso, quest’ annichilimento umano diventa “inevitabilità del delitto”. “Sancta Delicta” (prima parte 2015, la seconda nel 2016) amplia ancora di più la visione, come una telecamera che si allontana, mostrando prima un dettaglio e poi, man mano, tutto lo scenario. Quindi, con “Sancta Delicta” arriviamo al delitto di Stato, al delitto che diventa atto sacro e fondante della nostra società.
L’ultimo disco uscirà nel 2018 e sarà un rifacimento del dramma teatrale di Karl Kraus “Gli Ultimi Giorni Dell’Umanità” (da cui prenderà il titolo), declinato ai tempi nostri e con la nostra musica.
Per me, che ne sono l’autore principale, è difficile dire come nasce un nostro testo. Direi che viene “vomitato” in pochi minuti e poi, subito dopo essere stato scritto, è come se non mi appartenesse più, lo vedo da lontano, come se l’avesse scritto un altro.
La mia canzone preferita del vostro nuovo lavoro è la conclusiva “Strategia della tensione”. Ritengo che il testo sia davvero eccezionale e che fotografi in maniera perfetta i metodi di creazione del consenso politico. Come sono nate le parole di questa canzone? Vi siete ispirati a qualche episodio particolare di cronaca o si tratta di una riflessione di carattere generale?
Quello che viene narrato in “Strategia Della Tensione” è – parafrasando un famoso modo di dire americano – un elefante che ci sta davanti tutti i giorni in soggiorno e noi non ce ne accorgiamo, preferendo concentrare la nostra attenzione sulle mosche che entrano e escono dalla finestra. Siamo circondati dalla strategia della tensione, è la malta che regge l’edificio del potere costituito moderno, anzi l’unico fattore in cui il potere stesso cerca una legittimità, dato che non ne ha più nessuno. Chi governa oggi non lo fa certo per diritto divino né di discendenza. Per cosa allora? Ah si.. le elezioni. Ma i meccanismi sono fatti per consentire di comandare a una minoranza della minoranza (se va a votare il 50% degli aventi di dritto e poi vince chi prende il 30 di quel 50%… fate un po’ voi i calcoli). Una minoranza totalmente svincolata da qualsiasi obbligo nei confronti di chi rappresenta, per non parlare degli altri. E allora? Che cosa può tenere insieme questa costruzione di potere che nasce fatiscente? Semplice: il sangue, la propaganda e la paura. E per funzionare c’è bisogno che non solo il “potere” sia saldato da queste cose, ma che tali elementi entrino anche nella vita degli individui, che i rapporti sociali tra le persone siano fondate su questo: sangue, propaganda e paura.
In sede di recensione ho sottolineato come uno dei compiti dell’arte sia quello di stimolare e favorire la riflessione. In tal senso, secondo me voi siete dei veri artisti e il mio augurio è quello che la vostra musica possa essere ascoltata anche dai più giovani, che spesso considerano una bestemmia o qualche tatuaggio un vero atto di ribellione. Qual è la vostra opinione al riguardo?
Bisogna capire oggi cosa si intende per “atto di ribellione”. Noi non crediamo sia possibile per il semplice motivo che non c’è un vero nemico da combattere, un tiranno da abbattere o un “cattivo” da eliminare. Proprio come diceva Karl Kraus viviamo nella società del “nessuno può farci niente” (e lo diceva 100 anni fa, in piena prima guerra mondiale) perché il Sistema oramai vive di vita propria, nessuno è più in grado di controllarlo e nemmeno di modificarne minimamente una direzione.
Per farti un esempio banale: se si dà per scontato che un governo debba per forza ottemperare agli impegni economici presi da quello precedente,. Allora cosa si vota a fare? Se un creditore (pensa al Fondo Monetario Internazionale) non può nemmeno di decidere di cancellare i propri crediti, allora la smaterializzazione del processo decisionale è già in atto. Nessuno può orientare il timone, anche se tutti si illudono di farlo. Esiste solo il Sistema, che va in automatico, per una strada che diventa sempre più incomprensibile a tutti noi. “Lui” vive. Noi abbiamo smesso di farlo perché “nessuno può farci niente”.
L’idea di raccontare le vostre storie dal punto di vista del corruttore e del carnefice rende la vostra proposta particolarissima e suscita nell’ascoltatore la voglia di reagire e ribellarsi. Era questo il vostro scopo o è solo una mia personale interpretazione?
Il carnefice, il “cattivo” ha sempre una visione più larga, più aperta dello scenario. Chi uccide sa perché lo fa. Chi muore spesso ignora completamente i motivi per cui sta rimettendo la pelle. Per quanto paradossale possa sembrare, crediamo che solo i “cattivi” possano raccontare la storia. E infatti così avviene, dato che “la Storia è scritta dai vincitori”, che automaticamente si auto-nominano “buoni” e mandano all’Inferno tutti gli altri. Qualsiasi storia scritta dalla visuale delle vittime è parziale e si riduce sempre ad una sterile auto-commiserazione.
Ragazzi, vi va di spiegare ai nostri utenti il significato dell’artwork del disco?
E’ la Santa Muerte, il culto più moderno che il nostro mondo ha saputo proporre. In realtà di culti di santi e madonne “scheletriche” ce ne sono diversi anche in Italia ma quello della Santa Muerte è particolarmente affascinante. Perché? Prima volevi sapere cos’è un atto di ribellione oggi? Beh, uno sicuramente è fondare una nuova religione. Un altro sarebbe non pagare le tasse… Come rappresentare in forma umana, antropomorfa, lo Stato che si fa Dio? Solo la Santa Muerte è l’icona che più si avvicina a questo concetto.
Passando all’aspetto live, siete attualmente in tour? Parteciperete a qualche importante festival estivo?
Niente di programmato, come al solito.
Ragazzi, grazie per la disponibilità! Nel salutarvi, vi chiedo di indicare i vostri contatti. Alla prossima!
info@kozanoztra.net
Grazie a te.