Sono trascorsi otto anni dalla nascita dei RecLab Studios e Larsen Premoli, resident producer degli studi, ha ideato il progetto “The Return To The Dark Side Of The Moon” per festeggiare la ricorrenza e devolvere gli incassi della release per portare assistenza e conforto ai bambini e ragazzi malati delle più gravi e orribili malattie nei reparti oncologico-pediatrici degli ospedali di moltissime città del mondo. L’idea è stata quella di registrare l’album dei Pink Floyd “The Dark Side Of The Moon” chiamando in causa 45 musicisti italiani. Abbiamo intervistato Larsen Premoli per scoprire tutti i dettagli dell’album.
Ciao Larsen! È un piacere ospitarti sulle pagine di Metal In Italy. Prima di parlare del progetto “The Return To The Dark Side Of The Moon” vorrei chiederti qualcosa sui Rec Lab Studios. Otto anni di attività sono tanti, considerata la frequenza con la quale vengono registrati e pubblicati album in Italia, sei soddisfatto per i risultati raggiunti fino ad oggi?
Piacere mio! Otto anni mi sembrano un’eternità, eppure ogni volta che arriva Natale e mi preparo ad aggiornare il nostro mitico “wall of fame” con le copertine di tutti i lavori realizzati, mi rendo conto di quanto il tempo voli: il successivo tagliando è prossimo alle 300, quindi per risponderti sono estremamente soddisfatto! Siamo partiti con due locali e lo stretto necessario, oggi gli studi sono due, i locali cinque e centelliniamo i centimetri in cui collocare la strumentazione.
In questo lasso di tempo secondo quali direttive si è evoluto il processo di registrazione, mixaggio e masterizzazione degli album?
Gli studios si chiamano “Rec Lab” non a caso e in questi anni l’attenzione si è focalizzata sempre di più sulle peculiarità di realizzazione, ricerca e acquisizione del suono. Chi ha seguito l’evoluzione degli studios si sarà accorto quanto sia cresciuto il parco amplificatori, strumenti musicali, microfoni e delle macchine analogiche. Il processo è senz’altro in controtendenza con l’attitudine dell’ “acchiappare tutto” e successivamente “spippolarci” dopo con plugin e simulatori (parecchio in voga negli ultimi anni!). Cerchiamo il suono che serve e che vuole caratterizzare il progetto e l’artista fin dalle primissime fasi di ripresa, potendo dunque vantare quintali di strumentazione con le molteplici sfumature di carattere e timbro. Il mix diventa una fase di controllo dei volumi e di finalizzazione dell’effettistica, il mastering per lo più una necessità di chiusura lavoro e per lo più sempre molto poco invasivo. Alla fine delle registrazioni siamo all’80% del lavoro finito e alla fine del mix al 95%.
Quali sono i consigli che un tecnico del suono può dare ad una band che arriva per la prima volta in uno studio di registrazione? Capita che una band cambi arrangiamenti in corso d’opera?
Visti i sempre meno elevati budget da investire in produzione il consiglio che do sempre a tutti è quello di recarsi in studio non quando si è terminato di scrivere l’album ma quando si è pronti per presentarlo dal vivo, ipotizzando il concerto più importante della propria carriera: oggi chiunque ha i mezzi per farsi dei provini con cui studiare e capire a fondo quali sono i dettagli che si desiderano potendo così valutarli. Il tempo dedicato al proprio progetto prima di entrare in studio (senz’altro più economico per altro) deve servire a provare e riprovare tutto, in modo che l’entrata in studio equivalga alla messa in scena di uno spettacolo il cui copione è consolidato nella forma e nell’esposizione. Senz’altro in studio nel momento di massima creatività con suoni e strumenti a disposizione verranno nuove idee e accortezze da sperimentare, quindi, a maggior ragione, meglio entrarvi con le idee ben chiare e definite!
Veniamo al progetto “The Return To The Dark Side Of The Moon”. Perché hai scelto di rendere omaggio ai Pink Floyd ed a questo album in particolare?
È da un po’ di anniversari dei RecLab Studios che mi piace restituire qualcosa agli artisti che si son fidati di noi e quest’anno la scelta è stata quella di coinvolgerne un po’ per divertirci insieme in quello che, probabilmente, ci riesce meglio, quindi una maxi-produzione. Uno dei motivi principali della scelta è legato al fatto che i frequentatori del Lab spaziano dal Jazz all’Heavy metal e come metterli tutti d’accordo se non proponendo qualcosa che – qualsivoglia sia il tuo genere d’espressione – se sei un musicista, conosci apprezzi e ami profondamente? La scelta si è immediatamente ridotta a pochissime opzioni e, siccome festeggiamo l’VIII anniversario, ci è caduto l’occhio sull’ ottavo album dei Floyd.
Secondo quali criteri hai scelto i musicisti che hanno preso parte a questa release?
La maggior parte dei protagonisti fan parte di progetti, band e l’inserimento di uno o due di loro è stato un modo per coinvolgere largamente più realtà, dopo di che, come prima anticipato, sono tutti amici frequentatori e clienti del Lab. Ci sono poi alcuni nomi con cui ho avuto il piacere di avere collaborazioni artistiche anche al di fuori del mero ambiente dello studio e che sono onoratissimo di avere a bordo, con lo stesso entusiasmo ed energie dei meno noti o navigati!
“The Dark Side Of The Moon” è un album estremamente complesso, gli arrangiamenti sono curati, le parti elettroniche caratterizzano l’ossatura di ogni brano. Quali sono state le principali difficoltà che avete dovuto fronteggiare?
La problematica senz’altro più evidente è il “flow” della musica: quest’album è stato scritto e assemblato in studio in un lunghissimo lavoro di mesi in cui si è fatta unitamente ricerca, sperimentazione e tracking, il tutto ovviamente non a click e metronomo. Ci sono brani come “Money” che hanno un’ escursione di 15 punti di BPM nel corso del brano e “tirati dritti” non funzionerebbero, risultando finanche sgradevoli e storpiati. Ho pazientemente ricostruito una griglia-tempo basandomi meticolosamente sull’ originale. Se si sovrappongono l’album originale del ’73 e il nostro camminano di pari passo alla perfezione. I brani che mi preoccupavano di più sono stati “On the Run” che Bongi de “I Nastri” ha sapientemente saputo ricostruire e adattare in modo incredibile con la complicità del grande percussionista Pacho. Poi indubbiamente “The Great Gig in the Sky”, sebbene appena ho avuto il benestare da parte di Alteria, Helena e Giulia degli “Electric Ballroom” ogni dubbio sulla buona riuscita si è subito dissipato e siamo partiti! Ci hanno fatto infine impazzire un po’ le ricostruzioni dei suoni ed effetti non musicali di cui è ricco l’album e dei dialoghi, che hanno brillantemente risolto le voci narranti di Dr.Feelgood e Andrea Rock di Virgin Radio!
Ascoltando le tracce ho notato che la tendenza è stata quella di riproporre fedelmente i tratti salienti delle composizioni, ma c’è stata anche un’interpretazione personale da parte degli artisti. Che tipo ti approccio avete seguito per gli arrangiamenti?
Ci sono parti e arrangiamenti di queste canzoni che fanno sostanzialmente il brano, vedi le linee di chitarra, gli assoli e alcuni riff, mentre molte altre sono decisamente strutturate armonicamente, ma suonate sul flow e lasciate all’interplaying. Ognuno dei partecipanti ha suonato con il suo linguaggio, i groove e i pattern, ma inevitabilmente senza toccare quelli che sono i tasselli fondamentali, caratteristici dei pezzi. “Any colour you like” ad esempio è sostanzialmente frutto di una jam session, di cui si è mantenuta la struttura e l’idea originale della battaglia fra le due chitarre, dove però il team di musicisti che vi ha preso parte ha avuto moltissimo spazio per interagire con la propria musicalità e sensibilità.
Come sono avvenute le registrazioni? I musicisti si sono ritrovati in sala d’incisione in base ai brani, oppure ognuno ha registrato singolarmente le proprie parti?
Abbiamo programmato un weekend (15-16 Ottobre) per la realizzazione delle batterie, per tutti gli altri (siccome nel frattempo il lavoro agli studios non si è mai fermato!) abbiamo programmato singoli appuntamenti – per lo più serali – in cui uno alla volta sono venuti a fare la propria parte. Bassi e Chitarre sono stati registrati in linea in modo da re-amplificare tutto in un’unica sessione dove dar sfogo a tutti i giocattoli vintage e uniformare i suoni. Entro Natale era tutto pronto e durante il periodo delle vacanze abbiamo fatto tutta la post-produzione. Ne approfitto per ringraziare sulle vostre pagine lo staff del pregiatissimo EnergyMastering Studio che infine ci ha infine sorpreso con il regalo di una raffinata finalizzazione del master, con la loro strumentazione “dell’Olimpo del suono”!
La pubblicazione dell’album non ha l’unico scopo di celebrare gli otto anni di attività degli studi, ma ha anche un fine benefico. Puoi spiegarci di cosa si tratta?
Come già raccontato, il progetto è nato con semplicità e voglia di unire un po’ di ottimi artisti e non poteva o voleva vantare alcuno scopo di lucro: i partecipanti mi hanno spinto sull’onda dell’entusiasmo nel voler dar seguito alla cosa, stampandolo, mettendolo a disposizione dei digital store e realizzando due mesi di pubblicazione di un video-documentario ad episodi. Ho conosciuto Anita Granero durante una serata benefica alla quale mi ha invitato Carlo Ozzella, uno dei vocalist del progetto, e ho avuto il piacere di conoscere la realtà “No Surrender Dream Team”, un gruppo di volontari, costola Italiana dell’internazionale “Oscar’s Angels”. Lei e tutte le persone che coordina si occupano di utilizzare lo “strumento musica” per portare assistenza e conforto ai bambini e ragazzi malati delle più gravi e orribili malattie nei reparti oncologico-pediatrici degli ospedali di moltissime città del mondo, a loro e alle loro famiglie. Ho dunque deciso di finanziare completamente il progetto senza rientro dei costi in ogni fase di pubblicazione, dai pagamenti delle licenze e delle royalties, alla stampa dei supporti e la promozione, affinchè chi deciderà di averne una copia fisica o digitale, la riceverà in dono dedicando ogni centesimo del suo investimento a questa meravigliosa causa. Sono orgoglioso e rincuorato ogni giorno dall’entusiasmo e dall’energia positiva che la squadra di artisti mi dimostra: oltre che un modo per fare qualcosa di concreto e buono, dando dei mezzi a chi se ne occupa per davvero, è per me un significativo modo per ringraziare ciascuno di loro.
Tra l’altro la release sarà presentata nel corso del Rock In Park. Quali saranno le iniziative previste per quella serata?
Anche quest’anno il mastro-di-cerimonie Filippo Puliafito mi ha generosamente investito della responsabilità di chiudere il Festival più lungo e ricco d’Italia, nonchè di coordinare una band di oltre 40 persone per portare dal vivo l’opera dei Pink Floyd. L’ 11 giugno le dieci line-up si alterneranno sul palco del Legend Club e risuoneremo dal vivo, da capo a piedi, “The Dark Side of The Moon” esattamente così come l’abbiamo omaggiato in studio. Non avendo trovato una sala prove abbastanza grande (ahah, battute a parte, provate voi ad organizzare le prove con una band di 45 persone!) lavoreremo sodo fin dalla mattina per allestire il tutto. La serata è ad ingresso gratuito e saranno a disposizione i dischi, come già dal 12 maggio in ogni serata del Rock in Park. Saranno presenti i vertici delle associazioni a cui lasceremo l’incasso fino a quel momento raccolto dalle offerte relative al disco e non mancherà qualche sorpresa. Tutti invitati, anche perché – me lo sono promesso e giurato – sarà DAVVERO una serata unica, irripetibile: only one shot!
Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato. Un in bocca al lupo da parte di Metal In Italy per tutti i progetti futuri! A presto.
Grazie mille a voi che vi siete interessati a questo progetto, vi invito tutti se incuriositi ad approfondire l’argomento su http://reclab.it/tdsotm dove troverete nomi e foto della line-up, i links su dove e come trovare il disco nei vari formati e, ogni mercoledì, un nuovo episodio del video-documentario che vi porta nei nostri studios per assistere alla realizzazione di ciascuna delle dieci tracce. A presto e grazie ancora!