I Plan De Fuga danno seguito al loro progetto musicale partendo da un assunto: c’è una forte e rabbiosa esigenza di comunicare in musica e per farlo è necessario ricorrere alla lingua madre.
E così, la rock band di Filippo De Paoli e soci, si presenta al pubblico con il prosieguo della “Fase 1” pubblicata nel 2015, scegliendo nuovamente l’italiano, dopo i precedenti lavori in inglese.
“Fase 2” è uscito a fine 2016 per la storica etichetta Carosello Records.
L’intervista:
Con quali parole potremmo descrivere il ritorno dei Plan de fuga?
In realtà non siamo mai spariti, ma le nostre scelte molto in controtendenza rispetto al mercato italiano ci hanno fatto passare un periodo un po’ difficile, ma faceva parte del piano.
Ora la Fase1 di quel periodo è passata e siamo all’inizio della Fase2, dove tutto diventa di nuovo possibile.
Con “Fase 2” ci si aspetta un continuum con “Fase 1”. Questo filo conduttore unisce anche i testi dei due album?
Il filo conduttore è la ricerca stilistica nella produzione artistica dei due dischi e senz’altro nel taglio dei testi, che desiderano mettere in luce la nostra opinione sulle possibili strade verso un cambiamento sociale ed un’evoluzione personale, denunciando l’indifferenza dilagante e controproducente dell’individuo verso la società e della società verso l’individuo.
Sbaglio o in “Fase 2” c’è una rabbia, non tanto sopita, che viene urlata a gran voce?
Non sbagli. Anche se l’elemento rabbioso non è mai mancato anche nelle scorse produzioni. La differenza è che col cantato inglese l’importante punto del contenuto concettuale dei testi si perdeva un po’. Abbiamo voluto provare a rendere più immediata la nostra intenzione, rendendo ulteriormente ruvida la superficie artistica del progetto nelle due Fasi.
Quale brano risulta, a vostro avviso, il più difficile emotivamente parlando?
Il brano più faticoso è sicuramente “Mi ucciderai”, sia a livello tecnico che emozionale. Gridare ai quattro venti le sfumature più profonde e discutibili della propria personalità e di quella degli altri non è certo un costume diffuso. In una società che ti spinge a buttare la polvere sotto il tappeto si rischia di sentirsi davvero dei freak nel diffondere quella che per sé stessi è la più sincera ed onesta verità.
Già con “Fase 1” avete scelto di optare per l’italiano. E’ vero che per trattare determinati argomenti allora serve la lingua madre?
Quello che abbiamo voluto fare è dare ai nostri ascoltatori la chiara e immediata percezione di quello che abbiamo sempre detto nei testi in inglese. Questo non è stato fatto per assecondare un desiderio di popolarità, visto che la musica in italiano è ancora meno commerciale, ma per un’importante urgenza comunicativa.
Siete in giro dal 2005, ma di fatto è dal 2010 in poi che i Plan de Fuga riescono ad imporsi. Quali sono le tappe del vostro percorso che ricordate con maggiore orgoglio e quali invece cambiereste?
Tutto il meglio deve ancora venire. Con questa frase che si sente dire spesso in giro vorrei chiarire che ogni scelta fatta, che sia stata compresa e supportata o meno dal nostro pubblico e dai media, è stata portata a termine indipendentemente dal risultato ottenuto e dall’aspettativa iniziale. L’urgenza artistica deve essere sfogata, reprimerla per inseguire sogni di gloria economica non fa parte del nostro modus operandi. E’ bello quando la gente capisce e segue il filo del discorso, brutto quando ti senti isolato e criticato perché non sei in linea col resto della musica che esce ogni giorno. Siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto e l’unico rimpianto è di non aver fatto di più, ma c’è ancora un sacco di tempo, si spera…
Come procederà la promozione di “Fase 2”? Video, tour?
La nostra agenzia sta organizzando un tour che partirà nel giro di pochi mesi, ci sarà molto probabilmente un ulteriore singolo per mettere in luce un pezzo a noi molto caro di Fase2 e se tutto va bene ci saranno nuove sorprese che riguardano l’estero.