Vivere la musica come un’arte e non come un business. E’ questa la chiave di lettura da usare per quel portone blindato che si sta chiudendo per tutti coloro che orbitano attorno a questo settore.
L’analisi parte da una considerazione, ovvero quella dell’importanza che viene data al debut album di una band. Effettivamente oggi può sembrare scontato. Eppure non lo è se si pensa a come, in passato, le band che oggi consideriamo storiche in realtà si siano perfezionate col tempo. Oggi quel tempo non è più abbastanza, anzi non c’è proprio. O si sfonda o si cola a picco. Ma è da qui che parte un’altra considerazione, ovvero quella legata alle nuove tecnologie – e quindi al file sharing – che di fatto hanno ammazzato i supporti fisici ed il sogno musica.
Ne abbiamo parlato con Luca Ciccotti, (batterista De La Muerte e Karnya) che recentemente ha dedicato un pensiero personale sul tema sul suo blog (http://www.lucaciccotti.com/#!disccusioni/tkptq) e vista la delicatezza dell’argomento e l’ampio interesse che può generare, abbiamo deciso di intervistarlo.
Intervista a cura di Stefano Mastronicola
Ciao Luca, benvenuto sulle pagine di Metal In Italy. Recentemente sul tuo blog personale hai pubblicato un articolo sull’importanza del debut album per una band emergente. A causa dello sharing illegale, ha senso per una band vedere come un traguardo il debut album?
Ciao a tutti voi di Metal In Italy! Si, come ho scritto nell’articolo penso che lo sharing illegale sia stato uno dei tanti problemi del mercato discografico. In realtà ad infierire colpi su colpi, a mio avviso, è stata la tecnologia, la stessa tecnologia che circa due secoli prima permise proprio al mercato discografico di nascere. Lo sharing illegale quindi è stato uno dei tanti aspetti che nel progredimento dei mezzi tecnologici ha contribuito a danneggiare l’industria musicale.
Ho trovato molto interessante il passaggio in cui parli dei talent scout che giravano per i locali alla ricerca di band valide da mettere sotto contratto, attualmente questo non accade, anche perché grazie alle moderne tecnologie è più facile proporsi. Ma le etichette scommettono ancora sui giovani talenti?
Vero, non accade più! Un po’ perché ormai la figura del talent scout è affidata quasi esclusivamente alla TV ed ai suoi talent show e ovviamente un po’ perché, con il crollo del mercato discografico(o se non vogliamo parlare di crollo, visto che nel 2015 c’è stato un significativo incremento delle vendite degli album su vinile, di un grande e grave ridimensionamento delle vendite di album), per le etichette discografiche vengono meno i motivi per i quali decenni prima non potevano che spingerle ad affidarsi ai talent scout con la speranza di scovare e produrre un buon talento musicale che gli permettesse di vendere molti dischi. Quindi, inevitabilmente le case discografiche oggi preferiscono produrre gli artisti scovati dalle trasmissioni televisive e che hanno quindi già acquisito un minimo di notorietà.
Se escludessimo dal nostro ragionamento la condivisione illegale, dal momento che c’è internet ad amplificare l’ascolto e gli strumenti attuali che permettono di registrare anche in casa, non credi che le band correrebbero ugualmente il rischio di finire nel marasma di uscite discografiche?
Penso che la scelta di autoprodursi il debut album, come dicevo prima, sia stata l’inevitabile conseguenza del fatto che le etichette non hanno più la possibilità e la convenienza ad andare a scovare nuovi artisti, nuovi talenti e tanto meno di produrli. Mettiamoci anche il fatto che la tecnologia ed i mezzi che occorrono per registrare sono diventati nel tempo più a portata di tutti e ciò ha fatto sì che molte band, anche senza il supporto, la guida e l’aiuto dell’etichette, hanno iniziato a prodursi da soli l’album. Questa cosa si può vedere anche in maniera molto positiva per certi aspetti, per lo meno dona alla musica un sorta di democrazia, equità dove tutti possono dire la loro. A mio avviso penso che ci sia spazio per tutti, poi sarà la storia a determinare il valore, l’importanza e la durata della band. Quello che manca non penso sia la curiosità o la voglia di conoscere nuove band da parte della gente, ma il fatto che, come dicevo nell’articolo, ormai il pubblico si nutre di musica quasi esclusivamente sul web e quindi viene meno l’importanza e il motivo di fare il debut album sul formato fisico. Proprio pochi giorni fa ho letto un’intervista di Dominic Howard, batterista dei Muse, nella quale affermava che molto probabilmente la band non realizzerà più album e che “Drones” potrebbe essere l’ultimo. Questo perché a loro avviso il modo di consumare musica è cambiato e di conseguenza vogliono cambiare il loro modo di produrla, puntando a rilasciare blocchi di canzoni o addirittura singoli senza poi realizzare l’album, Per me si tratta di una cosa clamorosa e significativa in quanto una band affermata come i Muse si trova a dover fare i conti con la crisi del mercato discografico, in particolar modo del mercato riguardante gli album su supporti fisici.
Alcuni “talenti” musicali sono stati scoperti tramite YouTube, spesso il numero di visualizzazioni determina la notorietà di una band o singolo artista, secondo te è più importante vendere dischi o farsi conoscere sul Web?
Proprio l’altra sera a cena con la mia band (DeLaMuerte), parlando di queste cose, ho detto che, secondo me, mentre anni fa una band veniva considerata in base alle vendite dei dischi, oggi, con l’attuale condizione del mercato discografico la considerazione ottenuta in passato con le vendite dei dischi, oggi è possibile ottenerla con il successo delle famose visualizzazioni. Ovvio che sarebbe molto più bello ed importante avere un buon numero di album venduti che di visualizzazioni sui video clip. A mio avviso questo è impossibile, anche perché purtroppo spesso oltre la produzione, anche la promozione è affidata alla band. Nella maggior parte dei casi l’etichetta si limita alla sola distribuzione e anche qui ci sarebbero cose da dire…e penso che avrò modo di parlarne nella domanda successiva 🙂
Ci sono alcune band che si “autoproducono”, poi scelgono una buona agenzia di promozione bypassando così l’etichetta discografica, credi sia una buona soluzione? Anche perché registrare sotto etichetta comporta dei costi sicuramente maggiori…
Come detto prima, l’autoproduzione non è sempre una scelta, ma una conseguenza così come lo è l’autopromozione. Lo scopo dell’articolo è proprio quello di riflettere sul fatto che il mercato discografico è stato quasi del tutto troncato dalla tecnologia. Che ci piaccia o meno, la situazione è questa! Mi viene in mente sempre un esempio: è come se andassimo a vendere pacchetti di sabbia nel deserto… Come potremmo pensare che la gente sia disposta a comprarli se poi quella stessa sabbia può procurarsela facilmente e gratis? Quindi il mio non è un attacco alle etichette discografiche, siamo tutti vittime, anche se forse anni fa queste avrebbero dovuto battersi con tutte le forze ed evitare che lo sharing illegale diventasse un abitudine, che diventasse normale. La lotta che c’è stata contro la pirateria dei Film non l’ho vista intraprendere verso la pirateria musicale. I pochi e timidi tentativi, infatti, si sono rivelati nel tempo del tutto inefficaci.
Le piccole realtà contano molto sull’attività live, ma attualmente non è facile entrare nei circuiti giusti e soprattutto portare gente ai concerti…da dove trarre i guadagni necessari per incidere nuovi dischi?
Vero! Penso che oggi si debba prendere in considerazione tutti quei siti, piattaforme e community che permettono di avviare campagne di crowdfunding che consistono in campagne di raccolta fondi, con le quali vecchi o aspiranti fans possono contribuire ai progetti della band che decidono di supportare. Penso sia anche questa una rivoluzione o per lo meno una novità che è sicuramente frutto dei cambiamenti del mercato discografico e, a quanto pare, si stanno interessando a questo mondo anche band affermate. Oggi, ad esempio, ho letto che probabilmente anche gli Alter Bridge inizieranno una campagna legata al loro prossimo album, anche se ancora non si è capito bene se la loro scelta sia stata presa per dare più oggetti esclusivi ai propri fans o perché anche le etichette medio-grandi iniziano a scaricare i rischi e le spese di produzione degli album direttamente alle band, anche quelle affermate. Vedremo!
Nella situazione attuale i “mostri sacri” di allora avrebbero ottenuto lo stesso successo planetario? Questa è una domanda che poni ai tuoi lettori. Io personalmente credo di no, perché ormai il numero di band è incalcolabile, le etichette non puntano su pochi gruppi validi, i dischi si comprano sempre meno… Qual è il tuo punto di vista in merito?
Lo credo anche io, ma più che per la scena musicale ormai satura di band, per il fatto che, come detto sia nell’articolo che in questa intervista, il mercato discografico allo stato attuale purtroppo è un malato in stato terminale non più in grado di nutrire il talento dei musicisti. Nessuno può non riconoscere il talento delle grandi stelle del passato, ma pensate a quanto abbia influito nei loro percorsi artistici il supporto delle etichette discografiche e dei loro manager. Pensate per un attimo ad Elvis senza il colonnello che, nonostante le tante voci maligne riguardo a furti e torti che sferrò al cantante, fu comunque determinante per la sua carriera. Non sempre per i grandi artisti del passato bastava il loro debut album per convincere ed affermarsi. Molti si sono affermati e migliorati nel tempo e immaginate come sarebbe stato dannoso per loro il mercato discografico di oggi.
Al termine della nostra chiacchierata la domanda nasce spontanea: che senso ha in questo momento storico investire tempo e soldi in un’attività che molto probabilmente costa solo sacrifici? Riescono la passione e l’amore per la musica a vincere tutte le difficoltà? Recentemente CJ, cantante dei Thy Art Is Murder, ha annunciato: lascio la musica, perché sono povero…
Sinceramente in queste condizioni per una band emergente un senso ed un motivo economico non c’è. Qui non si parla del rischio di non guadagnare, ma addirittura di non coprire le risorse che sono state necessarie per produrre e promuovere l’album. Se poi invece consideriamo la musica per quello che è, ossia arte, allora il senso inizia ad esserci ed è enorme. Purtroppo mentre prima anche chi era povero poteva essere scovato da un talent scout in una cantina o in un “x” Pub di un “x” paesino sperduto e poteva quindi avere la sua possibilità, oggi rischia di essere quasi tutto legato ai soldi e solo chi ne ha può investire su sé stesso e provare ad emergere. Penso che dia molta più possibilità ed equità youtube che l’attuale mercato discografico. Come dicevo prima però se consideriamo la musica come forma d’arte allora sì, il senso c’è! In quel caso si può provare a mettere tutto in secondo piano e cercare di realizzare almeno il sogno che penso sia alla base di ogni musicista: comporre musica propria per cercare di trasmettere e lasciare un messaggio.
Grazie Luca per il tempo che mi hai dedicato…lascio a te il compito di concludere l’intervista con un messaggio per i nostri lettori. A presto!
Grazie a te dell’attenzione, ne sono onorato! Vorrei concludere l’intervista con una ventata di ottimismo, ma se ormai sono gli stessi artisti affermati a lamentarsi e a fare i conti con la crisi del mercato discografico, non saprei proprio come e dove trovare una fonte di ottimismo, visto che ho diverse band emergenti o aspiranti tali. L’unica cosa che posso dire è che sono contento di essere riuscito a non vedere la musica come una cosa conveniente o meno, ma come un’arte che riesce a darmi tanto e a farmi stare bene, per cui sono andato avanti senza perdermi nei calcoli e ragionamenti che potrebbe fare un imprenditore in procinto di aprire un impresa. La musica è passione e resterà per molti tale a prescindere dal fatto che la gente torni a comprare i dischi o a scaricare gli album illegalmente. Auguro a tutti voi buona musica, che siate consumatori o produttori/compositori! Ringrazio tutti voi di Metal Italy per il lavoro prezioso che fate, spesso anche di supporto alle realtà undenground!!!