E’ giunto il momento del primo full-lenght per i lombardi Simus. Dopo un EP, dato alla luce tra il 2009 ed il 2010 e promosso con un tour in terra russa ed altre fatiche live, che li portano, per altro, a condividere il palco con gli statunitensi Coheed And Cambria, realizzano, nel 2012, il video clip del singolo “Planet Caiak”, brano presente all’interno di “Vox Vult”.
La band in questione, a causa e grazie alla ricchezza dei contenuti tecnico-stilistici di cui è in possesso, non è catalogabile all’interno di un genere ben preciso; il loro è un risultato artistico che prende forma da un mix di sfumature stilistiche ed esperimenti tecnico-sonori. Personalmente posso affermare che l’ascolto dei loro brani, mi ha fatto pensare più volte alle sonorità “sguscianti” dei Tool, ad atmosfere in stile A Perfect Circle, ma che spesso strizzano l’occhio a soluzioni compositive con sottili caratteritiche più commerciali, che fanno riaffiorare alla mente i System Of A Down. Sicuramente, i nostri, puntano alla conquista di un pubblico vasto e variegato ed anche l’uso della voce, denota una varietà di impostazioni e tecniche, che ben si sposano con i vari aspetti tecnici, fin qui accennati.
Ci accostiamo a “Vox Vult” con le note dello psichedelica intro “Giano” e si avverte sin da subito che non si tratterà di un ascolto scontato. A questo segue “Vox Vult”, brano d’impatto che dà il titolo all’album; si tratta di una composizione dalle fattezze lineari, tanto che sembra quasi voler essere la fase di “riscaldamento”, in attesa della vera e propria partenza. La tecnica vocale utilizzata dal singer Mimmo D’Elia, spazia tra un accennato scream e l’utilizzo del pulito; in effetti questi sembra voler mettere in luce gradualmente le proprie capacità. Capacità che affiorano, in maniera chiara, nella track “Planet Caiak”, la quale, come detto in precedenza, è stata scelta dalla band, per la realizzazione di un video. Nel pezzo in questione, spicca la preparazione tecnica dei musicisti e l’uso appropriato ed equilibrato delle varie parti strumentali, nonché della voce, la quale fà scoprire pian piano il proprio impatto all’ interno della struttura di un pezzo dal vago sentore commerciale, soprattuto per quanto concerne il ritornello.
La song “Mantis”, cantata in italiano, mette in primo piano ritmiche e melodie chiare e strutturate; giuste caratteristiche per un piacevole singolo. In “The Soulmaker” (guarda il video), invece, ci accostiamo a qualcosa di tecnicamente più valido. Qui il lavoro di Federico De Zani alla batteria è, senza dubbio, molto lodabile. Salta all’orecchio soprattutto l’uso degli splash (piatti di piccole dimensioni) in intermezzo alle battute; in questa tecnica possiamo azzardare un vago collegamento con tecniche “Portnoy stile” della prima ora. Passando attraverso le melodie abbastanza commerciali di “Bitter Taste”, in cui oltre al buon lavoro armonico delle chitarre, ancora una volta sento di dover sottilineare il lavoro della batteria, ci soffermiamo sulla energica e molto valida “Fakir”, brano in cui si avvertono chiare sfumature tecnico-compositive in linea col le sonorità a cui ci hanno abituato i Tool. Le ritmiche, gli arrangiamenti, le linee vocali ad i fraseggi strumentali, all’interno dei quali è ben udibile anche l’ottimo lavoro del basso di Denis Pace, non lasciano dubbi. Dai contenuti più sperimentali è composto il brano “Requiem For My Moon”, in cui la band, partendo da una base ritmica impostata sulle percussioni, sviluppa, in maniera tecnicamente valida e dai vaghi richiami melodici in stile Dream Theater anni ’90, un brano che convince anche per originalità compositiva. Il quadro si chiude sulle note di “The Golden Pendulum Of Babylon”, finale pirotecnico, racchiuso in nove minuti, tra i quali è compresa anche una sorta di mini ghost track.
La sperimentazione sonora, tecnica, strumentale e vocale, conferma che i Simus ci sanno fare e sanno bene cosa vogliono che capti l’orecchio dell’ascoltatore e del critico. Questi musicisti hanno saputo unire le proprie conoscenze tecniche, suggerite da ispirazioni e scuole di provenienza, con uno spirito di originalità, poichè è ben udibile la forte presenza di una spiccata capacità tecnico-compositiva. Non ultima, va sottolineata l’importanza di un’ottima produzione, meritevole di aver dato chiarezza e conferma a tutte le analisi tecniche fin qui esposte. Per gli amanti delle bands più accreditate, citate in queste righe e per coloro che non amano la “solita” musica, “Vox Vult” è indubbiamente un album da ascoltare, su cui “riflettere” e dal quale prendere spunto.