Molti degli Ep autoprodotti vedono come luogo di registrazione garage, scantinati, camere da letto ed altri improbabili ambienti.
Gli Stona Favola non fanno eccezione e per presentarsi al pubblico hanno scelto il piano terra di casa Scalera, ovvero il batterista della band, un omino piccolo e simpatico che però dietro le pelli fa i disastri. In senso buono, ovviamente.
“Fiori d’Amianto” è il titolo di questo autoprodotto, votato allo stoner, ma è chiaro il richiamo allo Sludge e al Doom di “crowbariana” memoria. Un lavoro diversificato, benchè composto da poche tracce, che mostra appigli consistenti anche all’Heavy e Rock degli Orange Goblin, di cui la band è una grande estimatrice.
Ciò che colpisce, dal punto di vista dell’esecuzione, è la pulizia dei suoni, quasi perfetti, segno questo che gli Stona Favola non sono i soliti “uagliuni” che fanno metal e che non sanno dove mettere mano o che hanno imparato due accordi e accroccano una canzone. Sia basso che chitarra che batteria mostrano tecnica e qualità, consapevolezza del mestiere e dello strumento. Se fai Sludge, sai che devi essere incisivo e preciso: a questo quadro si unisce la voce graffiante (specie nei toni alti) dell’omone Alan il quale, entrato in lineup da qualche anno, ha saputo regalare alla band l’impronta Stoner che invece si stava cercando.
Il lavoro degli Stona Favola (gioco di parole alla romana, ma anche richiamo proprio alla virata Stoner della band) è apprezzabile anche dal punto di vista delle lyrics.
Loro vengono dal casertano, dalla tristemente nota terra dei fuochi e non ci si poteva esimere dal tradurre in musica lo schifo fatto a questo territorio. La band, utilizza questa tematica, in apertura di Ep. Emblematico il titolo: “Pioggia Acida”, pezzo che mette in evidenza tutte le qualità della band finora elencate. Un grido di disperazione che potrebbe tranquillamente far da colonna sonora al sequel di “Gomorra – La Serie”.
Più vibrante, in musica e contenuti “Nose Dive”, mentre “Gocce Di Napalm”, con il suo ossessivo “tic-tac” rischia diventare un tormentone.
Chiude “Fili Tagliati”, molto american style nella melodia, ma è un pezzo che mette in evidenza l’unica pecca del lavoro complessivo della band: la combine di voce principale e backing vocals. Questo è l’unico aspetto che non risulta essere pulito e a mio modesto avviso non può essere lasciato alla mercè delle imperfezioni, perchè “stona” con il pacchetto totale offerto ed è chiaro che, se c’è qualcosa che non va, quella viene subito all’orecchio.
In definitiva la band, che dal vivo non sbaglia una nota, è pronta per il grande salto. Meriterebbe sicuramente fiducia dagli addetti ai lavori.